Un account rimosso senza motivo obbliga Facebook al risarcimento del danno in favore dell’utente. In estrema sintesi, è questa la chiave di lettura dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna (10 marzo 2021). La vicenda riguarda una persona che era attiva su Facebook da anni e che sul social gestiva anche due pagine che gli consentivano di avere contatti sociali e anche professionali. Un bel giorno, di punto in bianco, questa persona si è ritrovata con l’account disattivato. Dieci anni di relazioni e contenuti erano andati in fumo, persi per sempre. La piattaforma non ha fornito spiegazioni, né ha concesso il ripristino dell’account. Si è così reso necessario il ricorso alla Giustizia. Ed è interessante leggere i passaggi della sentenza, che restituiscono un efficace riassunto della posizione di un utente davanti al colosso del Web.

La giurisdizione

Il punto di partenza è quello della giurisdizione. Il giudice competente a decidere sulla controversia è quello italiano, luogo di residenza del consumatore che utilizza Facebook. Sarebbe diverso (e in particolare, si finirebbe in Irlanda, sede legale di Facebook per l’Europa) nel caso in cui si trattasse di un account commerciale. In questa ipotesi, l’utente non sarebbe un “consumatore”, ma un professionista, per il quale le regole di Facebook prevedono, appunto, il foro irlandese. Nel caso di specie, il titolare dell’account faceva un uso, per così dire, promiscuo. Il social cioè gli serviva anche per ottenere nuovi contatti lavorativi, attraverso le pagine gestite. Secondo il Tribunale però, mancando un utilizzo esclusivamente commerciale, non si può escludere la qualifica di consumatore e, quindi, la competenza resta quella del giudice italiano.

Il contratto tra Facebook e l’utente

Nel momento in cui una persona si iscrive a Facebook stipula un contratto. La piattaforma si impegna a offrire un determinato servizio, che, anche se presentato in forma “gratuita”, è in realtà fonte di profitti per Facebook. Il social infatti ottiene dai suoi utilizzatori una montagna di dati personali, da rivendere agli inserzionisti. In un mondo quale quello attuale, il dato personale è un bene preziosissimo, per cui si deve concludere che il contratto intercorrente tra Facebook e un utente è a titolo oneroso, non gratuito. Il servizio viene infatti reso a fronte della disponibilità di dati personali. Il carattere oneroso del contratto porta a interpretare con maggiore severità gli obblighi che si assume la piattaforma social.

Questo contratto viene sottoposto all’utente al momento dell’iscrizione. Si tratta di una articolata serie di disposizioni, che normalmente nessuno legge, ma che individuano degli obblighi precisi a carico della piattaforma. Scorrendo il testo, si scopre che Facebook ha la possibilità di sospendere, bloccare o addirittura rimuovere un account, ma solo al ricorrere di precise situazioni, corrispondenti alla violazione di alcuni standard comportamentali. I casi più comuni sono quelli di condivisione di post violenti oppure offensivi, violazioni di copyright, compimento di reati attraverso il social, eccetera. Le regole contrattuali inoltre impongono a Facebook di avvertire l’utente, spiegandoli quali regole abbia violato e garantendogli la possibilità di porre rimedio. Insomma, rimuovere un account attivo di punto in bianco, senza fornire spiegazioni, rappresenta secondo il Tribunale una violazione del contratto.

L’inadempimento contrattuale

In questo caso, la piattaforma ha rimosso un account attivo, senza fornire spiegazioni e senza contestare all’utente una specifica violazione degli standard di condotta. Praticamente, è come se Facebook, tutto ad un tratto, fosse venuto meno agli obblighi assunti con il contratto di cui si è detto, smettendo di fornire il servizio all’utente. Le condizioni contrattuali, però, non consentono in alcun modo un recesso senza preavviso da parte della piattaforma. Durante il processo, Facebook non è stato in grado di motivare questo comportamento, né ha portato elementi in merito, giustificandosi dicendo che l’account e tutte le informazioni ad esso relative erano stati completamente cancellati. Un comportamento che il Tribunale ha ritenuto ingiustificabile. A detta del giudice bolognese, infatti, Facebook avrebbe dovuto dimostrare di essersi comportato in aderenza con le previsioni contrattuali ed in particolare avrebbe dovuto giustificare la rimozione dell’account. La fretta con cui sono stati cancellati i dati relativi all’account, infine, non trova una valida ragione.

Il danno e il suo risarcimento

Stabilito così che Facebook ha mancato di adempiere al contratto, sottraendosi ai propri obblighi, si tratta di capire se ne è derivato un danno per l’utente. A questo proposito, il Tribunale ritiene che possedere e utilizzare un account social sia oggigiorno una forma di esplicazione della propria personalità individuale.  In questo caso, l’utente si è lamentato del fatto di aver perso, improvvisamente, tutta una rete di relazioni che si era costruito nell’arco di dieci anni. Egli ha così smarrito non solo i dati e i contenuti caricati e condivisi tramite il proprio profilo personale, ma anche due pagine, con le quali interagiva attivamente.

È evidente che siamo in presenza di un danno, che però va dimostrato nel suo ammontare. La distruzione completa di questi dati impedisce al danneggiato di fornire una prova precisa della frequenza e dell’entità dei contatti, nonché della tipologia di informazioni veicolate attraverso il social. Di questa distruzione, però, è unicamente responsabile Facebook. Sarebbe iniquo che la repentina cancellazione, privando l’utente della possibilità di dimostrare quanto ha perso, limitasse il diritto al risarcimento del danno. Nel caso specifico, l’utente ha potuto produrre una serie di testimonianze di persone che hanno confermato di interagire con l’account cancellato e con le pagine rimosse. Per contro, Facebook non ha dimostrato che l’impiego del social fosse occasionale e quindi tale da non giustificare una richiesta di risarcimento.

Il Tribunale ha quindi proceduto a stimare il danno in via di equità, condannando Facebook a versare 10.000 euro per la distruzione dell’account personale e 2.000 euro per ciascuna delle due pagine rimosse.

(avv. Andrea Martinis)