L’aggressione da parte di un cane può provocare lesioni anche gravi. È abbastanza naturale, quindi, che la persona che subisce questo tipo di incidente sia intenzionata a chiedere il risarcimento del danno. Il codice civile prevede una norma (art. 2052) che traccia proprio la responsabilità del proprietario di animali. Egli risponde del danno causato dall’animale, anche se questi era momentaneamente fuori dalla sua custodia. Unica “via di uscita” per il proprietario è dimostrare il caso fortuito.
Il particolare caso dei cani randagi
E se si tratta di un animale randagio? La Corte di cassazione (ordinanza 9621 del 2022) ha fornito alcune indicazioni utili. Punto primo: non si applica l’art. 2052 del codice civile, perché, trattandosi di animali randagi, non è possibile teorizzare un rapporto di proprietà o custodia. Viene pertanto in rilievo la norma generale sulla responsabilità (art. 2043), in base alla quale chi cagiona un fatto illecito, è tenuto a risarcire il danno che ne deriva.
Si passa poi ad individuare il responsabile, verificando cioè chi sia il soggetto che, in base alle norme, è tenuto a vigilare sugli animali randagi. La sua responsabilità, pertanto, sarà di natura omissiva: ciò che sarà imputabile, infatti, è il mancato rispetto della norma che impone il controllo del randagismo. Quest’ultima si giustifica sul presupposto che, vigilando sugli animali randagi e contenendo il fenomeno del randagismo, si ottiene il risultato di evitare la presenza di un potenziale pericolo. La persona aggredita, quindi, dovrà dimostrare che è successo proprio quello che la norma punta ad evitare.
A questo punto la palla passa all’Ente chiamato in causa, che potrà difendersi provando di aver adempiuto a quello che la norma gli impone. E il danneggiato, a sua volta, potrà reagire, dimostrando che l’Ente si è attivato solo sulla carta e che non ha, in realtà, fatto quello che avrebbe dovuto.