L’evoluzione giurisprudenziale in materia di autovelox ha portato la sua carica innovativa anche in un altro – dibattutissimo – campo, ovvero la misurazione del tasso alcolemico a mezzo apparecchiatura. In entrambi i casi, l’accertamento della sanzione (superamento di un determinato limite di velocità ovvero superamento di una determinata soglia di alcol nel sangue) è effettuato attraverso uno strumento, in mano alla Pubblica Amministrazione, e, rispetto a tale misurazione, per il presunto autore della violazione si prospetta il non facile compito di dimostrare che l’apparecchio utilizzato non era affidabile.
A tale scopo, rilevano l’omologazione (che ovviamente costituisce un presupposto indispensabile per l’utilizzo dell’apparecchiatura) e la taratura, ovvero un controllo periodico sull’attendibilità dell’apparecchio. Fino a poco tempo fa, la giurisprudenza riteneva che la parte pubblica fosse tenuta semplicemente a dimostrare l’omologazione, lasciando così all’automobilista l’onere di dimostrare che l’apparecchio non fosse attendibile. Compito non certo agevole, visto che gli strumenti non sono nella diretta disponibilità dell’automobilista, che pertanto trovava non poche difficoltà a dover argomentare in merito ai difetti degli strumenti impiegati.
Tale regola operativa, però, è stata ritenuta contraria ai principi di razionalità: la Corte Costituzionale (sentenza n. 113 del 29 aprile 2015) ha infatti ritenuto che, poiché ogni apparecchio elettronico è soggetto a usura e/o deterioramento, tali da incidere negativamente sulla correttezza delle sue rilevazioni, è necessario che, chi si avvale delle misurazioni così ottenute, dimostri non solo la presenza di omologazione, ma dia altresì conto del superamento delle prove periodiche di funzionamento (taratura).
Questo è il principio che ha portato a riscrivere le regole in materia di autovelox, esigendo cioè che sia la Pubblica Amministrazione, nel momento in cui eleva la contravvenzione, a dimostrare l’attendibilità dell’apparecchio misuratore. Senza tale prova, ovviamente, nulla può essere contestato all’automobilista. Tale approccio è stato trasportato in materia di etilometro, dapprima in campo civile (ordinanza n. 1921 del 24 gennaio 2019) e, quindi, recentissimamente, anche in sede penale (sentenza n. 38618 del 19 settembre 2019). In tutti i casi in cui alla misurazione non venga allegata la prova del corretto funzionamento dell’apparecchio, la prova con l’alcoltest non potrà portare ad alcuna sanzione.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale