Il tragico evento accade in Sicilia. Di notte, un anziano scende dal letto per recarsi in bagno, ma cade rovinosamente a terra. A causa dell’impatto si frattura il femore, da cui deriva una gravissima emorragia interna post-traumatica che, infine, ne causa la morte. E la moglie, anzi, la vedova viene condannata per omicidio.

Il ruolo della moglie

Infatti, per i giudici è stato commesso il reato di omicidio colposo dell’anziano. Colpevole è la moglie che ha agito con negligenza, imprudenza e contravvenendo alle tassative indicazioni impartite dal personale sanitario dell’ospedale ove il marito era ricoverato. In particolare, “la donna ha rimosso la barriera protettiva posta sul lato del letto, facendo scendere il marito per recarsi in bagno, in violazione di quanto prescritto da infermieri e medici di guardia, senza richiedere l’assistenza di un infermiere, e senza fornirgli lei stessa adeguata assistenza, facendo in modo che, per ben due volte nel corso della nottata, la persona offesa (cioè, il marito che ha subito il reato) cadesse rovinosamente per terra”.

La donna prova a difendersi e impugna la sentenza di condanna. Si difende evidenziando la propria nazionalità rumena e che non aveva ben compreso il divieto di far alzare dal letto il marito. Inoltre, sostiene che la responsabilità della sorveglianza e della cura dell’ammalato non poteva ricadere su di lei, la quale è stata lasciata ad assistere il marito, nonostante la presenza del personale infermieristico. Inoltre, la signora afferma che, dopo la caduta, si era venuta a creare una situazione di negligenza addebitabile al personale sanitario. E ciò escluderebbe il “nesso di causalità” tra la caduta e la morte. Insomma, l’uomo è deceduto perché curato male dopo la caduta, non a causa della frattura.

Le valutazioni dei giudici

La Corte di Cassazione legge la difesa, ma è perplessa. Infatti, i precedenti giudici che si sono occupati del caso “hanno sottolineato l’imprudenza e la negligenza dell’imputata nel consentire al marito sedato di scendere dal letto per andare in bagno, nonostante i sanitari le avessero chiaramente detto di non abbassare le sbarre di protezione del letto e di non farlo scendere per nessuna ragione. La donna aveva, invece, deliberatamente rimosso le protezioni e l’uomo, irrequieto e scomposto nei movimenti, oltre che ancora sotto il parziale effetto dei farmaci tranquillanti, si era mosso da solo verso il bagno, cadendo tutte e due le volte e procurandosi, con la seconda caduta, la frattura che ne aveva determinato il decesso.”

Questo comportamento della donna è stato ritenuto contrario ad una elementare regola di prudenza: le sbarre di protezione del letto nel quale si trovava il coniuge non andavano abbassate e, per qualsiasi esigenza che si fosse presentata, la signora ben avrebbe potuto chiedere (e pretendere) l’assistenza del personale infermieristico di turno. In definitiva, è stato accertato che “l’imputata ha determinato (colposamente) un rischio (caduta e frattura) da cui è conseguito l’evento (emorragia e morte), rispetto al quale l’operato dei medici ha avuto, al più, un ruolo concausale, trattandosi di un’unica sequenza causale che ha comportato l’evoluzione (in senso peggiorativo) del medesimo rischio.” (Cassazione penale, n. 11536/2020)