L’evento è tragico, la dinamica dell’incidente non lascia dubbi e si finisce “fino in Cassazione” per discutere del risarcimento del danno. Tutto inizia davanti al Tribunale di Vicenza quando una vettura, non rispettando un semaforo rosso, provoca un incidente con un furgone. Nell’incidente rimane uccisa la passeggera del furgone. Ebbene, dovendo decidere sui danni conseguenti alla morte della signora, il giudice li riduce del 30% poiché la passeggera aveva concorso a provocare la propria morte. Come? Nel più banale dei modi: non allacciandosi la cintura di sicurezza. I parenti della vittima, dovendo ricevere il risarcimento, impugnano la sentenza e chiedono che venga pagato l’intero importo, senza la riduzione del 30%.

Ma la Corte di Cassazione non può decidere su tutto. Fai attenzione perché questo passaggio è importante per capire come funziona questo giudice “supremo”: in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione dei fatti che hanno causato il danno, la valutazione della condotta delle persone coinvolte, l’accertamento e la graduazione della colpa, la valutazione di come i comportamenti delle persone coinvolte abbiano o meno causato l’incidente, sono dei giudizi di merito. E i “giudizi di merito” sono esclusi dalla valutazione della Corte di Cassazione.

Cos’è un “giudizio di merito”? In parole semplici, sono “di merito” i giudizi relativi ai fatti, mentre sono “di legittimità” i giudizi relativi all’applicazione del diritto. Di che colore era la macchina? Era rossa, e questo è un fatto. Se il Tribunale accerta che era rossa, ha accertato un fatto che non può più essere discusso davanti alla Cassazione. Anche “la ricostruzione dei fatti che hanno causato il danno” è un giudizio su un fatto, cioè un “giudizio di merito” che sfugge alla valutazione della Corte di Cassazione se è completo, corretto e coerente dal punto di vista logico-giuridico.

Nel nostro caso, è stata impugnata una sentenza che “con motivazione adeguata e priva di vizi logici” ha illustrato con chiarezza perché è stato riconosciuto un concorso di colpa della vittima, nella misura del 30 per cento. La sentenza impugnata è giunta a tale riduzione dopo aver accertato che la vittima non aveva allacciato le cinture di sicurezza nel momento dello scontro fatale. Pertanto, l’impugnazione davanti alla Cassazione è un “evidente tentativo di ottenere … un nuovo e non consentito esame del merito”. Di conseguenza, il ricorso è dichiarato inammissibile. (Cassazione civile 21747/19)