Come ormai sappiamo tutti, gli apparecchi che vengono utilizzati per il rilevamento dell’eccesso di velocità devono essere periodicamente sottoposti a revisione. Il principio di fondo è abbastanza intuitivo: poiché l’accertamento della violazione è effettuato per mezzo di una macchina, infatti, è indispensabile che essa sia attendibile e che quindi la rilevazione sia corretta.

Questo principio è stato affermato addirittura dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 113/2015) e, da allora, sono arrivate le istruzioni ministeriali ai vari comandi di Polizia che utilizzano questi strumenti, specificando che, almeno una volta all’anno, essi vanno sottoposti a revisione presso un centro accreditato e quindi attendibile. Esistono dunque dei precisi criteri ministeriali, sintetizzati nelle circolari interne, che stabiliscono il modo in cui si deve procedere al “collaudo” dell’autovelox.

Per il soggetto che procede all’accertamento dell’eccesso di velocità, questa indicazione significa dar conto, nel verbale, di questa taratura periodica. Occorre cioè dimostrare che l’autovelox fosse attendibile e che, quindi, la sua rilevazione sia stata corretta. La Corte di Cassazione (sentenza n. 1608/2021) ha chiarito che una dichiarazione della ditta che produce l’autovelox, con cui si afferma che l’apparecchio funzionava regolarmente, non è sufficiente se questa ditta non è stata autorizzata a rilasciare omologazioni.

L’organo che accerta la violazione, quindi, deve seguire un canale preciso (e cioè rivolgersi periodicamente ad un centro autorizzato), altrimenti la multa andrà annullata.

(avv. Andrea Martinis)