La direttiva europea 2004/48/CE (in Italia attuata dal d.lgs. 140/2006) contiene alcune disposizioni volte ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Tra le misure previste a tutela del titolare del diritto d’autore, è previsto che egli abbia accesso ad alcune informazioni relative all’autore della violazione; nello specifico, si prevede che debba essere garantita la possibilità di conoscerne l’identità e l’indirizzo.

Questa possibilità diventa particolarmente rilevante in ambito Internet, dove è ben possibile che un utente, utilizzando un qualsiasi servizio di upload (tipo Youtube), carichi in rete dei contenuti protetti dal diritto d’autore; in queste ipotesi, il titolare del diritto potrà rivolgersi a chi effettua il servizio di hosting, non solo per chiedere la rimozione del contenuto, ma anche per conoscere identità e indirizzo dell’autore del caricamento illegittimo. Individuare l’utente, ovviamente, serve a consentire la possibilità di rivolgere una richiesta di risarcimento del danno derivante dalla violazione del copyright.

Ma quanto possono essere utili, concretamente, queste informazioni? Se, infatti, il nome di un utente finisce spesso per essere un nickname o un nome di fantasia, non certo utilizzabile per destinare una richiesta di risarcimento, maggiore attenzione suscita la possibilità di risalire all’indirizzo. Proprio pensando al mondo Internet, verrebbe da pensare che il titolare del diritto d’autore possa accedere all’indirizzo IP o all’indirizzo di posta elettronica dell’utente, ma, stando ad una sentenza della Corte di Giustizia UE (sentenza del 9 luglio 2020, C-264/19), così non è.

I Giudici comunitari, infatti, chiamati a pronunciarsi sulla corretta interpretazione da dare al termine “indirizzo”, hanno concluso che la normativa comunitaria prevede semplicemente che al titolare debba essere comunicato l’indirizzo, per così dire, fisico, dell’utente. Il caso era quello del caricamento di un film su Youtube, contenuto che era stato rimosso dopo la richiesta del titolare del diritto d’autore; questi aveva poi chiesto alla piattaforma di conoscere identità e indirizzo dell’autore del caricamento, facendo così sorgere il dubbio su cosa si debba intendere con quest’ultima locuzione. Stando alla Corte, come detto, la norma va interpretata in modo letterale, ritenendo che “indirizzo” sia quello residenziale che, nella prassi, ben difficilmente è noto a chi gestisce una piattaforma di upload. Ben diverso sarebbe l’effetto pratico di poter accedere all’indirizzo IP o – quantomeno – ad un indirizzo e-mail: in questo modo, infatti, il titolare del diritto d’autore avrebbe maggiori possibilità di rintracciare l’utente e rivolgergli una richiesta risarcitoria.

Chiaramente, nella (remota) ipotesi in cui un utente si registri su un sito di upload indicando, oltre ai suoi dati anagrafici (quelli veri) anche il suo indirizzo di residenza, il gestore del servizio dovrà comunicarli al titolare del diritto d’autore che ne faccia richiesta. Fuori da questo caso, ci si deve accontentare di una risposta poco utile; resta comunque ferma la possibilità, per gli stati nazionali, di introdurre specifiche norme che impongano al gestore del servizio di comunicare l’indirizzo IP: in altri termini, la norma europea individua un obbligo “minimo” di informazione, ma l’iniziativa dei singoli stati, dice sempre la Corte, può ampliare (e rendere più efficace) questo obbligo.

(avv. Andrea Martinis)