Uno dei problemi di natura squisitamente economica che porta con sé l’attuale emergenza sanitaria riguarda tutti quei commercianti che svolgono la propria attività in un immobile condotto in forza di un contratto di locazione e che ora, stante le disposizioni vigenti (e destinate probabilmente ad essere prorogate) si trovano forzatamente con la serranda abbassata. Devono continuare a pagare il canone di locazione? Possono chiedere una riduzione o un differimento?

La risposta non è semplice in considerazione del fatto che, da un lato, la situazione attuale è (lo auspichiamo tutti) temporanea, per cui il vincolo alle attività commerciali è destinato a venire meno; dall’altro lato, è verosimilmente interesse delle parti quello di proseguire il rapporto contrattuale, sì che soluzioni drastiche, come ad esempio un recesso per gravi motivi (che pure sarebbe possibile in una situazione del genere), rischiano di essere controproducenti.

Mancando gli incassi, il pagamento del canone potrebbe essere considerato una prestazione divenuta, a causa di un “avvenimento straordinario ed imprevedibile” eccessivamente onerosa (art. 1467 c.c.): in questo caso, il conduttore potrebbe chiedere la risoluzione del contratto (ma, come nel caso del recesso, si tratterebbe di chiudere definitivamente l’attività), a meno che il locatore non si offra di “modificare equamente le condizioni del contratto” (ovvero, ridurre il canone). Chiaramente, essendo l’emergenza destinata a passare, questa soluzione non tiene conto del fatto che, tra un mese (?) l’onerosità eccessiva verrebbe meno.

Si potrebbe pensare che, a causa della serrata imposta, la prestazione di mettere a disposizione il locale secondo l’uso stabilito sia diventata parzialmente impossibile (art. 1464 c.c.): il conduttore, quindi, potrebbe chiedere una riduzione del canone, ma, anche qui, valgono le considerazioni svolte sopra circa il carattere temporaneo della situazione, che rende anche questo rimedio non del tutto adeguato.

Di “impossibilità temporanea” parla invece l’art. 1256 c.c., precisando che, finchè tale impossibilità dura, il debitore non è responsabile del ritardo; il conduttore non può temporaneamente accedere al bene locato, ma nemmeno può pagare il canone, non avendo incassi. La norma però serve solo a giustificare il ritardo nella corresponsione del canone e si limita, di fatto, a stabilire che, quando cessa l’impossibilità, il conduttore dovrà sostanzialmente pagare gli arretrati.

In conclusione, volendo pensare alla prosecuzione del rapporto contrattuale, il ritardo nel versamento del canone è giustificato ed infatti il recentissimo d.l. 18/2020 (art. 91) chiarisce che il rispetto delle imposizioni (chiusura delle attività commerciali) è “sempre valutato” per escludere la responsabilità del debitore. La giustificazione del ritardo, comunque, non cancella o riduce l’obbligo di pagare il canone, che viene così semplicemente differito.

Non appare invece possibile giustificare una automatica riduzione del canone di locazione, proprio in ragione del fatto che gli strumenti messi a disposizione dal codice civile mal si adattano ad una situazione emergenziale di carattere temporaneo; ciò detto, le ragioni per chiedere ed ottenere questa riduzione hanno un loro fondamento ed è consigliabile pertanto trovare un accordo tra le parti, per salvaguardare il bene economico che in questo momento è forse più prezioso, ovvero la prosecuzione e la piena ripresa dell’attività economica.

(avv. Andrea Martinis)