Ad un anno di distanza dal primo lockdown nazionale, resta sempre di grande attualità la tematica dei canoni di locazione per immobili commerciali che, a causa della serrata, devono restare chiusi. I conduttori, dovendo fronteggiare un brusco calo di fatturato, si trovano in difficoltà con il pagamento del canone.

Di questa problematica ce ne siamo già occupati qui e anche qui, spiegando sostanzialmente che i rimedi offerti dal nostro ordinamento giuridico sono tendenzialmente orientati nel senso di interrompere o chiudere il rapporto contrattuale. Manca, in sostanza, un rimedio normativo che consenta una modifica contrattuale tale da garantire la continuità del rapporto. Né le disposizioni legislative nate nell’emergenza sanitaria hanno saputo offrire soluzioni innovative.

Il punto è che, vertendosi in tema di rapporti contrattuali, è preferibile che siano le parti interessate a trovare un accordo per proseguire. Demandare questo compito ad un soggetto esterno al rapporto, come può essere un giudice, è complicato e rischia di non essere satisfattivo. Viceversa, le parti conoscono perfettamente i termini del loro accordo e le rispettive situazioni economiche/finanziarie, così come hanno ben presenti i propri interessi rispetto alla prosecuzione del rapporto contrattuale. Per questo, nessuno meglio di loro può decidere le sorti del contratto.

Una conferma di questa tesi arriva da un’ordinanza resa dal Tribunale di Biella (ordinanza dd. 17 marzo 2021), con cui è stato rigettato il ricorso promosso dal conduttore di un esercizio commerciale. Questi lamentava un calo di fatturato e chiedeva che il Giudice, pronunciandosi nelle forme del provvedimento d’urgenza, ordinasse la riduzione del canone di locazione del 50% per tutto il periodo marzo 2020-marzo 2021.

Il Tribunale ha disatteso queste richieste. Nello specifico, il Giudice ha osservato anzitutto che spetterebbe alle parti rinegoziare i termini del contratto. Tale considerazione si giustifica pensando al fatto che, come si è detto sopra, la legge contempla dei rimedi tali da portare alla risoluzione del contratto, più che ad una sua modificazione. Lasciare che siano le parti ad occuparsi di una modifica al rapporto, del resto, è più rispettoso dell’autonomia negoziale e consente ai diretti interessati di accordarsi nel migliore dei modi, trovando il punto di incontro tra reciproci interessi.

Né, ad avviso del Tribunale, si può giungere ad altre conclusioni accogliendo la prospettazione fornita dal conduttore. La richiesta di riduzione del canone, infatti, è stata avanzata sulla base dell’art. 1578 codice civile, norma che consente al conduttore di ottenere questo “sconto” in caso di vizi della cosa locata. In pratica, il gestore sosteneva che l’impossibilità di utilizzare il locale (causa restrizioni) fosse un “vizio” tale da giustificare una riduzione. Il Giudice, però, è stato di contrario avviso, non ritenendo cioè che la pandemia, evento esterno e non direttamente collegato al locale locato, possa considerarsi un “vizio” della cosa.

A conclusione, l’ordinanza annota che non è stato adeguatamente dimostrato il nesso causale tra la pandemia e il calo di fatturato. In buona sostanza, secondo il Tribunale non è possibile pensare che i periodi di lockdown che, in momenti e modalità differenti, si sono succeduti, abbiano generato automaticamente una perdita. Sul punto, sarebbe stato opportuno fornire una prova ulteriore rispetto ai soli bilanci.

In definitiva, da questa decisione arriva un’ulteriore conferma sul fatto che è preferibile siano le parti ad accordarsi sulla prosecuzione del rapporto, dietro opportune modifiche. La salvaguardia della continuità imprenditoriale, del resto, può rappresentare l’interesse primario sia del conduttore (che vuole continuare a lavorare) che del locatore (che vuole continuare ad incassare un canone). La via della mediazione resta per ora quella che maggiormente è in grado di offrire una soluzione realmente efficace.

(avv. Andrea Martinis)