L’acquisto di Bitcoin o altre criptovalute come modalità per realizzare autoriciclaggio. È questo il quadro che esce dalla lettura della sentenza n. 2868 del 2022. La storia è quella di una persona che commette un reato (in questo caso, sfruttamento della prostituzione) e cerca di occultare i proventi. La condotta che viene in rilievo è quella dell’autoriciclaggio. Questo reato (articolo 648-ter codice penale) consiste, in parole semplici, nell’impiegare i proventi di un reato in modo tale da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. In pratica, si cerca di “far girare” i soldi, per rendere difficile associarli al reato da cui provengono.
In questo caso, l’imputato, ottenuto il denaro dall’attività illecita, lo girava a società estere, incaricate di acquistare criptovaluta, nello specifico bitcoin. Secondo i giudici, viene in rilievo proprio l’autoriciclaggio, perché, utilizzando un exchange di criptovalute, lo scopo è ovviamente quello di “scollegare” il denaro utilizzato dal reato.
La trasparenza della Blockchain non esclude il reato
È interessante vedere come ha cercato di difendersi l’imputato. Lo ha fatto, in particolare, richiamandosi al meccanismo di funzionamento della Blockchain, la tecnologia cioè che sta dietro al mondo delle criptovalute. I movimenti che avvengono nella “catena”, sostiene la difesa, vengono registrati nel libro contabile digitale (distributed ledger). Chiunque può accedere a questo libro, individuando le singole operazioni e i soggetti che le hanno compiute. Insomma: l’acquisto di moneta virtuale non potrebbe mai considerarsi anonimo. L’impossibilità di ottenere l’anonimato, conclude la difensa, renderebbe impossibile parlare di autoriciclaggio.
La Cassazione però non la pensa così. Senza entrare nel merito del funzionamento della tecnologia blockchain, la Suprema Corte si ferma ad un passo prima. Rileva cioè che l’imputato si è avvalso di società estere che fungevano da exchanger di criptovalute. In questo modo, si è comunque ottenuto lo scopo di rendere difficile risalire all’imputato. Per parlare di autoriciclaggio, dice la Cassazione, non è necessario ottenere il completo anonimato nelle operazioni di trasferimento di denaro. È sufficiente ostacolare gli accertamenti sulla provenienza del denaro, come è avvenuto nel caso in questione. I Bitcoin o le altre criptovalute, quindi, possono essere un escamotage per realizzare l’autoriciclaggio.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale