È fuori dubbio che l’onore e la reputazione rappresentino valori della persona che il nostro ordinamento riconosce e tutela, così come è evidente a tutti come nell’attuale contesto sociale, caratterizzato da una intensa circolazione dei dati, sia altissimo il rischio che onore e reputazione possano subire un pregiudizio. Si pensi alla circolazione di notizie non veritiere, alla diffusione non autorizzata di immagini, oppure, come nel caso esaminato dalla Cassazione (ordinanza 16 aprile 2018, n. 9385), all’erronea iscrizione di un nominativo nella banca dati dei “cattivi pagatori” (soggetti cioè che non rispettano i pagamenti delle rate dei prestiti contratti).

Nessun dubbio, dice la Suprema Corte, che una tale iscrizione, laddove effettuata colposamente, rechi una lesione all’onore e alla reputazione della persona, ingiustamente individuata come “insolvente”; tuttavia, ai fini della richiesta di risarcimento del danno al soggetto responsabile per tale indicazione, non basta dimostrare l’errore, ma serve altresì specificare in cosa è consistito il danno. In altri termini, il danno all’onore e alla reputazione non è in re ipsa, ma il danneggiato deve dar conto, anche ricorrendo a presunzioni, delle conseguenze negative subite e del loro impatto sulla sfera personale, in modo da poter giungere a quantificare l’ammontare del danno risarcibile.

(avv. Andrea Martinis)