Raccogliere i dati relativi a donne single e organizzarli in un elenco per poi rivenderlo. Questa è la trovata che ha avuto una persona, recentemente condannata (anche) per trattamento illecito di dati personali. Condanna confermata dalla Corte di cassazione (sentenza n. 33964/2023). Proprio la lettura di questo provvedimento consente di fare il punto su una questione che, molto spesso, viene affrontata e gestita con una certa superficialità.
Dal social all’e-book, senza saperlo (e senza volerlo)
Si potrebbe essere portati a pensare, infatti, che non vi sia nulla di “illecito” nel raccogliere e organizzare dei dati che i diretti interessati hanno caricato online. Nel caso in questione, le donne, iscrivendosi a Facebook, hanno indicato di essere “single” e hanno mantenuto un profilo pubblico. Chiunque accedesse alla piattaforma, quindi poteva visualizzare i loro profili e poteva venire a conoscenza del fatto che queste persone fossero, appunto, single. Allo stesso tempo, era possibile conoscere il loro luogo di residenza, parimenti condiviso con gli utenti del social network.
Il protagonista della vicenda giudiziaria, quindi, è entrato su Facebook e, utilizzando una funzione offerta dal social, ha trovato i profili delle donne single residenti in una determinata zona. A questo punto, li ha raccolti tutti, organizzandoli in un e-book. Ha quindi messo in vendita il suo “catalogo”, reclamizzandolo online. Come si può facilmente immaginare, molte delle persone presenti su questa pubblicazione hanno iniziato ad essere contattate da estranei, con tutte le intenzioni che si possono immaginare.
Dalle informazioni reperibili al fine di lucro
Da questo epilogo nefasto si può partire per capire dove risieda l’illiceità del trattamento dati. Il compilatore dell’e-book, infatti, si è avvalso di informazioni facilmente reperibili, ma questo non basta per ritenere che egli potesse effettivamente fare ciò che ha fatto. Quando le donne si sono iscritte al social e hanno inserito le informazioni, infatti, non lo hanno fatto per finire su un improbabile catalogo di single. Semplicemente, le interessate hanno deciso di utilizzare il social network, condividendo alcune informazioni con gli altri utenti della piattaforma.
Ciò che ha fatto il “compilatore”, evidentemente, esula da questo confine. Egli, infatti, non si è limitato ad accedere ai dati, come sicuramente, in quanto utente del social, poteva fare. È andato ben oltre: li ha raccolti e organizzati, diventando così un titolare del trattamento, per realizzare un libro. La finalità perseguita è evidente, posto che l’e-book ha ricevuto una pubblicazione e una sorta di campagna pubblicitaria. Il fine di lucro, quindi, non si discute nemmeno. Ed è una finalità del tutto incompatibile con quella che le donne iscrittesi al social potevano rappresentarsi al momento del login.
L’importanza della finalità
In termini sintetici, chi si iscrive ad un social riceve l’informativa relativa all’utilizzo dei dati che mette in pasto alla piattaforma. Può, pertanto, aspettarsi che le informazioni che carica saranno visibili dagli altri utenti. Ma non può certo rappresentarsi l’eventualità che i propri dati finiranno su un e-book a pagamento. Né tantomeno che quella pubblicazione si concentrerà sulla relazione sentimentale dichiarata al social network. Con un risultato pratico estremamente negativo, ovvero indurre negli acquirenti dell’e-book l’errata convinzione di acquisire l’elenco di una serie di donne propense ad instaurare una relazione.
La vicenda mette così in evidenza l’importanza della finalità perseguita nel trattamento di dati personali. Principio che vale anche se alcune informazioni sono facilmente accessibili, in quanto pubblicate dai diretti interessati. Bisogna sempre chiedersi, infatti, quale sia la ragione della condivisione. Se si raccolgono le informazioni per uno scopo diverso e perseguendo una finalità autonoma, si dà origine ad un nuovo trattamento, per il quale servirà una base giuridica. Sarà pertanto necessaria una condizione di legittimità, che potrebbe essere il consenso dell’interessato. In assenza, il trattamento sarà illecito.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale