Diritto all’oblio o diritto all’informazione? Negli ultimi tempi sono sempre più frequenti i casi di persone che invocano l’oblio per ottenere la deindicizzazione o la cancellazione di notizie (solitamente, cronaca giudiziaria) che si riferiscono a fatti del passato e che non risultano più attuali. Questa richiesta, ovviamente, collide con il diritto, spettante alla collettività, di ricevere le informazioni su fatti che, anche se svolti nel passato, possono essere di pubblico interesse.

Un difficile bilanciamento tra interessi contrapposti

La decisione su quale delle due istanze debba prevalere, come si può intuire, non è affatto semplice. E ciò anche in relazione alla evoluzione che ha compiuto il diritto all’oblio, passato dall’originaria pretesa di “essere lasciati in pace” all’attuale inquadramento come facoltà di poter controllare le informazioni che diffuse sul proprio conto. Da un contenuto, per così dire, negativo, ad uno chiaramente positivo.

Davanti a queste tematiche così articolate, è facile intuire che il dibattito giurisprudenziale sia particolarmente vivace. La Corte di cassazione, ad esempio, si è pronunciata ripetutamente sull’argomento, fino ad arrivare ad una sentenza resa a Sezioni Unite (19681 del 2019). In questa pronuncia la Corte ha chiaramente delineato il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva. Insomma: c’è una pretesa a cancellare il passato, se non è più attuale e – in qualche modo – utile alla collettività.

Un caso pratico: la cancellazione di una notizia del passato

Proprio facendo leva su queste indicazioni, una persona ha chiesto l’intervento del Garante Privacy, per ottenere la rimozione o comunque l’anonimizzazione di un articolo, presente sull’archivio storico online di un quotidiano, gestito da un gruppo editoriale. Si trattava di un pezzo riportante fatti di cronaca giudiziaria che, a detta dell’interessato, sarebbe superata da decisioni giudiziarie successive.

Il Garante, però, non ha accolto la richiesta. Decisivi per orientare in tal senso la sua decisione sono stati alcuni elementi. Anzitutto, l’articolo era già stato deindicizzato, quindi, per poterlo consultare, era necessario essere abbonati al quotidiano e “spulciare” nell’archivio storico. L’esclusione dai motori di ricerca, ovviamente, riduce l’impatto che l’articolo può avere sull’interessato. Che, dal canto suo, non ha dimostrato quali sarebbero state le decisioni giudiziarie successive (e di senso opposto) rispetto a quelle riportate nell’articolo.

Il Garante Privacy “salva” la pubblicazione in archivio

Ad avviso del Garante, la pubblicazione originaria si giustificava con l’esercizio del diritto di cronaca; quella successiva (mantenimento nell’archivio), per quanto diversa rispetto alla prima, è comunque una legittima finalità di archiviazione di interesse storico-documentaristico. Il mancato aggiornamento della notizia, infine, si spiega perchè il diretto interessato, pur richiedendolo, non ha fornito gli elementi per provvedervi.

Per questi motivi, il Garante non ha accolto la richiesta di cancellazione ì. Resta, infine, un appunto: rispetto alla richiesta rivolta dall’interessato al gruppo editoriale, quest’ultimo non ha inizialmente dato riscontro, tanto che, appunto, è stato coinvolto il Garante. Ebbene, pur disattendendo la richiesta di rimozione, il Garante ha comunque condannato l’editore per non aver riscontrato la richiesta. 20.000 euro di ammenda, non esattamente una cifra simbolica.