È stato dato ampio risalto, sia sui media tradizionali che su quelli digitali, alla sentenza emessa dal Giudice di pace di Frosinone, che ha annullato una multa con cui era stata contestata la violazione del divieto di spostamento in relazione all’emergenza sanitaria da Covid-19. Ma quali sono le ragioni che hanno spinto il Giudice di pace a giungere a tale conclusione? E quale è stato il percorso logico seguito?

1) dichiarazione dello stato di emergenza. È l’atto del Consiglio dei Ministri, datato 31.01.2020, da cui sono discesi i vari provvedimenti che hanno scandito la fase del lockdown e, secondo il Gdp, è illegittimo. Questo in quanto la dichiarazione dello stato di emergenza è stata motivata con il rischio sanitario e messa in relazione ad un provvedimento (d.lgs. 1/2018) che elenca gli eventi emergenziali di protezione civile; tra questi eventi, però, non figura l’emergenza sanitaria. In parole povere: secondo il Gdp, è stato dichiarato uno stato di emergenza per un motivo non valido; di conseguenza, gli atti amministrativi che, a cascata, si sono succeduti, vanno disapplicati, ivi compreso il DPCM che prevedeva il divieto di spostamento.

A questo argomento il Gdp aggiunge che la previsione di norme generali ed astratte, limitative di alcuni diritti costituzionali, a mezzo di DPCM, è contraria alla Costituzione. Né questa prassi potrebbe dirsi salvata dal fatto che i DPCM siano stati richiamati da decreti legge (e quindi, atti aventi forza di legge): un decreto legge successivo non può infatti sanare un DPCM emesso in precedenza. In ogni caso, prosegue il Gdp, l’art. 76 della Costituzione, prevedendo la possibilità di delegare la funzione legislativa al Governo, non specifica che tale facoltà possa essere conferita al singolo Presidente del Consiglio dei Ministri.

2) limitazione alla libertà personale. Nessun dubbio, prosegue la sentenza, che il divieto di spostamento configuri una limitazione alla libertà personale; da qui prosegue il ragionamento del magistrato onorario. Secondo il Gdp infatti, l’art. 13 della Costituzione stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possano essere assunte solo su atto motivato dell’autorità giudiziaria, mentre, nel caso che compete, il divieto di spostamento è stato imposto da un DPCM, ovvero un atto amministrativo. Atto che, a questo punto, si pone in contrasto con la Costituzione, consentendo al Giudice il potere di disapplicarlo, senza dover interpellare la Corte Costituzionale in merito.

Né si potrebbe pensare, conclude il Gdp, che ad essere introdotto a mezzo del DPCM sia un divieto di circolazione, per il quale la Costituzione (art. 16) non esige le cautele previste a tutela della libertà personale. Secondo il Giudice, i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici, mentre il generico divieto di spostamento introdotto durante il lockdown configura una limitazione della libertà personale.

Queste, in sintesi, le ragioni addotte dal Giudice di pace per annullare il provvedimento impugnato. È bene ricordare che il processo si è svolto senza che l’Ente opposto si sia costituito, il che ha impedito che il Giudice di pace potesse prendere in considerazione tesi diverse da quelle sostenute da chi ha impugnato il provvedimento. Allo stesso tempo, è utile ricordare che questa sentenza potrebbe essere impugnata davanti alla Corte di cassazione. C’è motivo di pensare, quindi, che la giurisprudenza in materia sia tutta da costruire.

(avv. Andrea Martinis)