Ha suscitato scalpore, nelle scorse settimane, la notizia di una multa (particolarmente salata) comminata ad una influencer che, sul suo account, aveva promosso un concorso a premi, assicurando dei regali a chi avesse cliccato “mi piace” o condiviso i suoi post. Si tratta del meccanismo promozionale noto come “giveaway” e che consiste, appunto, nel regalare dei premi sulla base di una scelta a sorte o premiando un comportamento.

Il giveaway rientra così nella nozione di “concorso a premio” e, come tale, è soggetto alla normativa vigente in materia (dpr 430/2001), che risulta particolarmente stringente. L’organizzatore di un concorso a premio, infatti è tenuto a rispettare delle regole stringenti, volte ad assicurare l’assoluta trasparenza della competizione. Basti pensare, per esempio, che l’organizzatore deve comunicare al Ministero per lo sviluppo economico l’intenzione di avviare il concorso, trasmettendone il regolamento. La scelta dei vincitori, inoltre, deve essere effettuata alla presenza di un notaio o del responsabile della tutela del consumatore e della fede pubblica competente per territorio: onere di non poco conto, che la normativa mette a carico dell’organizzatore. Nel caso di utilizzo di strumenti informatici (come un social network, ad esempio), infine, viene inoltre posto rilievo alla collocazione geografica del server, al fine di garantire la sicurezza dei dati.

Insomma, tutte queste prescrizioni rendono insostenibile, per uno youtuber o un personaggio social, che molto spesso è un privato che “arrotonda” sul web, organizzare un giveaway, a meno di non disporre di una solida struttura finanziaria e organizzativa alle spalle. Per questo motivo, da tempo si invoca una riforma, volta a snellire le procedure, se non altro per tutte quelle ipotesi in cui il giveaway rechi premi di valore modesto.

Fino a quel momento, la “scappatoia” che alcune aziende stanno utilizzando è quella dei premi in denaro. O meglio: vengono indetti dei concorsi in cui in realtà viene corrisposta una somma di denaro, che è inquadrata come “retribuzione” per una prestazione. Questo funziona, ad esempio, in tutte le ipotesi in cui venga richiesta ai partecipanti uno sforzo creativo (esempio: disegnare il nuovo logo di un brand, inventare una caption o un copy da utilizzare in futuro, eccetera). Prevedendo un compenso e non un premio, si riesce ad evitare di far ricadere l’iniziativa nell’ambito applicativo della normativa in materia di concorsi a premi. Chiaramente, questo stratagemma mal si presta ad essere utilizzato dagli influencer, la cui iniziativa in materia è fortemente limitata. Una riforma o comunque la previsione di alcune deroghe consentirebbe di liberare un potenziale commerciale che al momento resta inespresso.

(avv. Andrea Martinis)