Uno scherzo di cattivo gusto finito male: è questa la sintesi dell’episodio di cui si è occupata la Corte di cassazione (sentenza 31276 del 2020). Nel caso specifico, una persona si era accordata con un conoscente per fare uno scherzo al suo coinquilino, solo che, una volta entrata nell’abitazione e, quindi, nella camera della vittima, le cose sono sfuggite di mano, degenerando in atti di violenza. Una questione che ha impegnato i giudici è quella relativa alla violazione del domicilio.

L’art. 614 c.p. sancisce che si è in presenza di una violazione di domicilio nel caso in cui qualcuno si introduca nell’altrui abitazione contro la volontà “espressa o tacita” di questi e non c’è dubbio che, in caso di introduzione finalizzata a commettere atti di violenza, si possa pensare ad una tacita volontà di non desiderare la visita. Nella fattispecie, però, la persona si è introdotta nell’abitazione con il consenso del coinquilino; ci si deve chiedere, quindi, se, dal punto di vista del visitatore, ci potesse essere la consapevolezza di realizzare una “violazione di domicilio”. La domanda, dunque, è questa: il permesso di entrare, concesso da uno dei due coinquilini, vale anche per l’altro?

Per sciogliere questo dubbio, la Cassazione è andata a distinguere tra rapporto di convivenza e di coabitazione. In entrambi i casi si tratta di due (o più) persone che occupano la stessa abitazione, solo che nella convivenza si instaura un legame affettivo stabile e duraturo, mentre la coabitazione è solamente una situazione di reciproca convenienza o opportunità (dividere i costi dell’affitto). Questo significa che la coabitazione comporta che vi sia, per ciascuno dei soggetti coinvolti, la possibilità di definire degli spazi personali ed esclusivi (es: la propria camera da letto), rispetto ai quali il singolo inquilino ha piena facoltà di ammettere/escludere i visitatori. Il coinquilino, quindi, può fare entrare un ospite e ammetterlo alle parti comuni della casa, oppure a quelle zone di sua esclusiva pertinenza, ma non altrove.

Questa distinzione si riflette sulla presunzione del consenso, ovvero quella situazione in cui sia uno solo dei coinquilini a decidere di far entrare una persona a casa. In caso di convivenza, la stabilità del legame autorizza a pensare che il consenso manifestato da uno dei conviventi faccia ritenere presunto quello dell’altro. Viceversa, in caso di semplice coabitazione, il consenso espresso da uno dei due coabitanti non vale per l’altro. Nel caso di specie, si è ritenuto che l’ingresso nella camera da letto di uno dei due coabitanti senza il consenso del diretto interessato, vada qualificato come violazione di domicilio.

 

(avv. Andrea Martinis)