L’imminente riapertura delle attività commerciali che sono ancora chiuse pone all’attenzione dei datori di lavoro il problema relativo alla loro responsabilità nel caso in cui uno dei suoi dipendenti contragga il Coronavirus. La domanda non è di poco spessore e, al netto della ragionevole esigenza di ripartire, frena i facili entusiasmi e, anzi, pone non poche riserve in capo ai titolari di attività che possono prevedere un intenso contatto con il pubblico, come negozi oppure esercizi di somministrazione di cibo/bevande.
Nessun dubbio, infatti, che una eventuale infezione contratta sul luogo di lavoro sia meritevole di copertura Inail, in quanto contratta in occasione del lavoro: lo conferma del resto il D.L. 18/2020 (art. 42) e lo conferma la circolare 13/2020 emessa dallo stesso Inail.
Parimenti, è noto che recentemente le parti sociali hanno stipulato un protocollo di intesa volto ad individuare tutta una serie di adempimenti che il datore di lavoro è chiamato ad adottare proprio al fine di scongiurare il rischio di contagi sul posto di lavoro: dalla informazione, al controllo della temperatura, fino all’uso di presidi sanitari, l’elenco di cautele è piuttosto nutrito e il DPCM 26.04.2020 prevede espressamente (art. 2, comma 6) il rispetto di tale protocollo.
Queste novità vanno ad inserirsi nel quadro normativo preesistente, in cui, come è noto, al datore di lavoro viene attribuita una posizione di garanzia rispetto alla sicurezza dei lavoratori (art. 2087 c.c.) e gli viene imposto il rispetto delle norme di sicurezza sul luogo di lavoro (d.lgs. 81/2008).
Da queste premesse, è lecito chiedersi cosa possa succedere nel caso in cui un dipendente vada a contrarre il Coronavirus. Ebbene, il datore di lavoro potrebbe essere ritenuto responsabile per lesioni personali (art. 590 c.p.) o addirittura, nei casi nefasti, per omicidio colposo (art. 589 c.p.), laddove abbia mancato di adottare le cautele imposte dalle citate disposizioni e uno dei suoi dipendenti risulti, così, positivo al Covid-19. Non solo: la mancata adozione delle disposizioni dettate in materia di sicurezza sul luogo di lavoro rileverebbe anche in capo all’Ente (ai sensi del d.lgs. 231/2001), determinandosi così un ulteriore profilo di responsabilità.
Quest’ultimo rilievo, peraltro, apre una parentesi non poco significativa: nella “fase due”, infatti, le aziende dovranno obbligatoriamente rivedere il proprio modello organizzativo, per adeguarlo alle disposizioni dettate in chiave anti-Coronavirus. Il mancato adeguamento del modello rischia infatti di esporre l’azienda ad una manifesta responsabilità in sede penale.
Ciò detto, non si può prescindere dal fatto che la responsabilità del datore di lavoro per contagio di Coronavirus potrà riscontrarsi solo laddove si riesca a dimostrare che vi sia un nesso causale tra l’attività lavorativa e la contrazione della malattia. Questa prova potrebbe ritenersi, per così dire, semplificata per gli operatori sanitari e per quanti lavorino a stretto contatto con il pubblico, visto che, per tali categorie, la citata circolare 13/2020 dell’Inail pone una sorta di presunzione, stabilendo cioè che si presume che l’eventuale contrazione del virus abbia origine professionale. Questa presunzione, tuttavia, è dettata con riferimento all’operatività della copertura assicurativa: nell’eventuale sede penale, infatti, sarà necessario raggiungere la prova certa che il contagio sia effettivamente maturato nell’ambiente di lavoro, in ragione della mancata adozione delle norme di sicurezza. Prova che non sarà agevole, visto che, come ormai ben sappiamo, i tempi di incubazione del Coronavirus non sono affatto rapidi (14 giorni), sì che ben difficilmente potremo pensare ad un dipendente che, per tutto questo lasso di tempo, non abbia intrattenuto rapporti con altre persone o non si sia recato in luoghi aperti al pubblico come supermercati e mezzi pubblici. Insomma, la prova non è agevole e non lo è nemmeno in sede civilistica, dove il dipendente potrebbe coinvolgere il datore di lavoro, chiedendo il risarcimento del danno subito a causa del contagio: anche in questa sede, infatti, il danneggiato dovrà dimostrare che il contagio è effettivamente inquadrabile nell’ambiente lavorativo.
(avv. Andrea Martinis)
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale