Al giorno d’oggi disponiamo di molteplici app o software che ci consentono di restare in contatto, contemporaneamente, con una pluralità di persone, generando così un imponente flusso di comunicazioni; non è infrequente che in tali contesti possano verificarsi situazioni in cui uno dei partecipanti alla discussione insulti un altro. Ci si può chiedere, quindi, quali siano le conseguenze giuridiche per questo comportamento ed è interessante notare come la giurisprudenza abbia dato risposte diverse in relazione al tipo di app/software utilizzato: il diverso modo di funzionamento, infatti, incide sugli esiti giuridici.

Il punto cruciale, infatti, è distinguere tra ingiuria (che non è più reato) e diffamazione: la prima si verifica quando un soggetto offende direttamente un altro (la presenza di ulteriori soggetti che ascoltano è quindi una semplice variabile); la diffamazione, invece, si ha quando un soggetto insulta un’altra persona comunicando con altri.

Calando questa distinzione sul piano pratico delle chat di gruppo, prendiamo due ipotesi.

  1. Videochiamata di gruppo (nel caso trattato, Google Hangouts). Nell’ipotesi in cui, durante una videochat collettiva, uno dei partecipanti abbia insultato un altro, la Cassazione ha ritenuto esserci ingiuria (depenalizzata) e non diffamazione, perché l’offesa era rivolta direttamente ad una persona, che l’ha immediatamente percepita; il fatto che vi fossero altri partecipanti in quel momento è stato ritenuto irrilevante ai fini dell’inquadramento giuridico. Nessuna conseguenza penale quindi, secondo la Cassazione (sentenza n. 10905 del 2020).
  2. Messaggi su chat di gruppo (Whatsapp, nel caso specifico). In questo caso, la Cassazione ha ritenuto sussistere la diffamazione (e quindi un reato), perché “sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato consenta, in astratto, (anche) al soggetto vilipeso di percepire direttamente l’offesa, il fatto che messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori – i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi -, fa sì che l’addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso” (sentenza n. 7904 del 2019).

Insomma: occhio a come scegliete di fare le vostre chat di gruppo!

(avv. Andrea Martinis)