Due recenti ordinanze della Corte di cassazione (n. 2184 e 2525 del 2021 consentono di fare il punto su quello che è diventato un “grande classico” della responsabilità civile. Stiamo parlando la richiesta risarcitoria avanzata da persone che lamentano un danno derivante dalle cattive condizioni di una strada. Può trattarsi di un pedone caduto la sera (ordinanza 2184) o di un automobilista finito in un avvallamento (ordinanza 2525). In tutti questi casi il malcapitato di turno cerca di ottenere un risarcimento dall’Ente pubblico responsabile per la manutenzione dello specifico tratto stradale.

La posizione del custode

Simili richieste risarcitorie vengono motivate sulla base dell’art. 2051 c.c., norma che individua nel custode (ovvero l’Ente, ad esempio il Comune) il responsabile per i danni che derivino dalla cosa custodita (la strada). Questa norma introduce una vera e propria presunzione di responsabilità a carico del custode. A fronte di un danno derivato dalla cosa, infatti, il solo modo per sfuggire all’obbligo di risarcimento è dimostrare che il sinistro si è verificato per forza maggiore o caso fortuito. Ricade nella nozione di “caso fortuito” anche la colpa del danneggiato.

La posizione del custode, quindi, è particolarmente delicata e difenderla in causa può essere impegnativo. Sarebbe però sbagliato pensare che ad ogni caduta o ad ogni uscita di strada corrisponda una condanna al risarcimento del danno a carico dell’Ente gestore. Entrambe le ordinanze della Cassazione citate sopra, per esempio, si sono tradotte in una risposta negativa, lasciando così a bocca asciutta i danneggiati.

Due esempi, andati male

Nel primo caso (2184), il pedone caduto non è riuscito a dimostrare che l’infortunio si è verificato a causa del manto stradale sconnesso. La Cassazione rammenta che, per poter applicare la presunzione di responsabilità, occorre prima raggiungere una prova. Si deve dimostrare che alla base del sinistro c’è la pericolosità della cosa in custodia. In questo caso, la prova è mancata. Nel corso del processo, infatti, i testimoni hanno solo genericamente parlato di una sconnessione stradale, senza chiarire se essa fosse realmente in grado di provocare la caduta. Davanti a questa incertezza, quindi, non è stato possibile ritenere che vi fosse un nesso causale certo tra la caduta e le condizioni della strada.

L’ordinanza 2525 invece si è pronunciata sul caso di un’automobile rimasta bloccata a causa di una buca. Nel giudizio, però, si è appurato che la strada in questione era notoriamente utilizzata dai mezzi agricoli e che l’automobilista aveva già percorso qualche centinaio di metri prima di finire nella buca. Chi era al volante, dicono i Giudici, avrebbe dovuto percepire o prevedere il pericolo. O comunque avrebbe dovuto immaginarsi che, lungo una strada utilizzata da mezzi pesanti, vi fossero delle buche e, conseguentemente, avrebbe dovuto guidare con prudenza. Anche in questa ipotesi, quindi, non si può ritenere che il sinistro sia stato causato dalla pericolosità della strada, posto che la buca, che chiaramente c’era, avrebbe potuto essere prevista ed evitata.

Quella che appare come la classica “causa già vinta” potrebbe in realtà rivelarsi un buco nell’acqua.

(avv. Andrea Martinis)