Il filone giurisprudenziale in materia di sinistri stradali verificatisi a causa di buche è pressoché inesauribile. Le condizioni di cattiva manutenzione delle strade – e gli incidenti che ne derivano – spingono infatti numerosi automobilisti a rivolgere una richiesta risarcitoria all’Ente pubblico (solitamente, il Comune) a cui spetterebbe la cura della sede stradale.

Come funziona la prova? 2051 c.c. vs. 2043 c.c.

Queste domande si fondano sull’art. 2051 c.c., norma che prevede la responsabilità del custode per i danni causati dalla cosa custodita. In questo caso, la cattiva manutenzione della strada (imputabile all’Ente) è il fattore che origina il sinistro. In virtù della presunzione di responsabilità che la norma pone, al danneggiato basterà dimostrare che il danno si è verificato a causa della buca. Per contro, l’Ente per difendersi dovrà dimostrare che vi è stato un fattore esterno a causare il danno. Questo fattore potrà essere un elemento estraneo oppure la colpa dello stesso danneggiato.

Anche a chi non è addetto ai lavori risulta evidente che simile procedimento probatorio agevola il danneggiato. Il normale regime di responsabilità (art. 2043 c.c.) richiede infatti che il danneggiato dimostri non solo che l’evento si è determinato per una specifica causa, ma deve altresì dar conto della colpa o del dolo del danneggiante. Nella responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., invece, non serve un’indagine così approfondita. Basta dimostrare che c’è un nesso causale tra cosa in custodia e danno; spetterà poi al custode dimostrare che questo nesso deve intendersi spezzato.

La colpa del danneggiato

E come si fornisce questa dimostrazione? La vicenda esaminata dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 39965 del 2021 ne offre un esempio. C’è un motociclista caduto a causa di una buca, il quale decide di fare causa al Comune. Perde, perché il Tribunale e la Corte d’appello, pur ritenendo provata la presenza della buca e la caduta, ritengono che il motociclista avrebbe dovuto accorgersene. Dicono i giudici, in estrema sintesi: la buca è grande e visibile, sarebbe bastato andare piano per evitarla.

Sufficiente? Secondo la Cassazione, no. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, questo ragionamento vanifica la differenza tra responsabilità ex art. 2043 c.c. e quella ex art. 2051 c.c. Nello schema della seconda norma, infatti, non servono indagini diverse da quelle relative alla catena causale dell’evento. La colpa del danneggiato può, in astratto, liberare dalla responsabilità il custode, ma si deve tradurre in un comportamento tale da spezzare il nesso causale tra la cosa e il danno. Qualcosa di imprevedibile e di anormale. In altre parole: il danneggiato deve farla così grossa da annullare il legame tra danno e cosa in custodia.

E questa prova, dice la Cassazione, nel caso di specie manca. Non è sufficiente dire, genericamente, che la buca è grande e che è visibile. Bisognerebbe dimostrare che il danneggiato ha tenuto un comportamento così anomalo e così imprevedibile che quanto è successo sia colpa sua. Laddove si rinvenga una forma di responsabilità da parte del danneggiato, peraltro, sarà anche possibile ipotizzare una situazione di colpa concorrente, individuando così una percentuale di danno da mettere a suo carico. Quello che conta, però, è che il caso concreto venga analizzato in tutti i suoi elementi e che si valorizzi il comportamento dei soggetti coinvolti. Una valutazione generica, come quella svolta in questa vicenda, non basta.