Le monete virtuali negli ultimi anni hanno riscosso uno straordinario successo presso i piccoli risparmiatori. Sull’onda del successo del Bitcoin, molte persone hanno infatti deciso di investire una parte dei propri risparmi nell’acquisto di criptovalute, con risultati spesso alterni. Alla base di queste scelte c’è, appunto, una finalità di investimento, la speranza, cioè, di moltiplicare la somma inizialmente impiegata.
Le criptovalute come strumento di investimento
Da questo elemento si deve partire, quindi, per dare una veste giuridica alla compravendita di criptovalute e, dall’altro lato, alle numerose offerte di acquisto che troviamo quotidianamente su Internet. Guardare a questo fenomeno con l’ottica dell’investimento, del resto, è in linea con la definizione di criptovalute contenuta nel d.lgs. n. 231 del 2007 (normativa antiriciclaggio), in cui, appunto, ci si riferisce alla “finalità di investimento” come una delle funzioni della moneta virtuale.
La Corte di cassazione – sezione penale (sentenza n. 44337/2021) affronta proprio questo argomento, dimostrando di ritenere che le criptovalute vadano considerate non già semplici mezzi di pagamento, ma strumenti di investimento. Questa interpretazione è in linea con quello che si vede nella pratica quotidiana: basta accedere ad Internet infatti per trovare banner e link che presentano espressamente le criptovalute come strumento per far fruttare i propri risparmi, con la promessa di risultati mirabolanti.
Simile interpretazione ha delle conseguenze rilevanti, perché comporta l’applicazione della normativa in materia di strumenti finanziari. Il rischio, per chi offre un servizio di trading è allora quello di integrare i reati di abusivismo finanziario (art. 166 Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria), comportamento cioè di chi esercita l’attività di consulente finanziario senza essere abilitato. Chi gestisce un sito di exchange, inoltre, potrebbe dover rispondere del reato di riciclaggio (art. 648 c.p.). Non è un mistero, infatti, che le criptovalute servono anche per “ripulire” i proventi di un’attività delittuosa. Ecco quindi che corre seri rischi l’exchanger che accetta il denaro potenzialmente proveniente da attività criminosa.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale