Un’altra storia di diffamazione sui social networks finisce sul tavolo della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13979 del 2021. Questa volta si tratta di un diverbio che si è scatenato tra due insegnanti, i quali hanno trovato da ridire in merito ai metodi e agli orientamenti seguiti da uno dei due. Il suo collega, al termine dell’accesa discussione, ha manifestato il proprio punto di vista su Facebook, postando sul proprio profilo una critica. Tra le considerazioni, tuttavia, c’è stato spazio anche per un paio di esternazioni forti. L’insegnante ha infatti chiamato il collega “essere spregevole” e lo ha accusato di “manipolare psicologicamente” i propri allievi.

Che la comunicazione effettuata a mezzo di un post su Facebook possa integrare il reato di diffamazione aggravata è ormai un dato acquisito pacificamente dalla giurisprudenza. La sentenza diventa però interessante per quanto riguarda altri due aspetti. Il primo è quello relativo ai confini del diritto di critica. Il post pubblicato, infatti, esprime il punto di vista del suo autore ed è espressione di una critica mossa nei confronti del collega. Il cosiddetto “diritto di critica”, derivato dal più famoso diritto di cronaca, può infatti offrire all’autore uno “scudo” che lo protegge dalla responsabilità penale. La critica, intesa come una manifestazione del pensiero estremamente personale (si comunica il proprio punto di vista, in questo si distingue dalla cronaca), è infatti un diritto protetto dalla Costituzione.

Entro quali limiti si può criticare qualcosa o qualcuno? Come si può facilmente immaginare, la critica non può essere oggettiva, visto che esprime un punto di vista personale, per cui non si può pretendere che rispetti gli stessi canoni propri della cronaca. In ogni caso, anche se accesa, la critica non può trasformarsi in un attacco personale e non può travalicare i confini della pertinenza. Nel caso specifico, La Corte di cassazione ha ritenuto che definire qualcuno un “essere spregevole” sia un’offesa diretta alla persona e non un semplice giudizio negativo sul suo operato professionale. Parimenti, accusare di “manipolare psicologicamente” va oltre il diritto di critica, perché si tratta di attribuire un comportamento negativo (la “manipolazione” è infatti una pratica connotata da negatività) senza fare riferimento a fatti specifici, senza quindi argomentare.

Il secondo aspetto interessante della sentenza riguarda l’immediata cancellazione del post offensivo. L’insegnante autore dello sfogo, infatti, dopo aver appreso che il collega aveva reagito male alla lettura di queste parole, aveva rimosso il post, scusandosi. Questo comportamento non è bastato ad evitare la condanna. Il post offensivo, infatti, era comunque rimasto online per un tempo sufficiente a raggiungere più persone (compreso il diretto interessato peraltro). Questo significa che non solo si può considerare integrato il reato di diffamazione, ma si deve valutare anche il danno morale, ovvero la sofferenza incorsa alla persona offesa. Danno che nel caso di specie è stato liquidato in 800 euro.

(avv. Andrea Martinis)