Con l’ordinanza n. 9865/2020 la Corte di cassazione è tornata ad occuparsi di un tema che negli ultimi anni è stato piuttosto discusso, ovvero la possibilità, nel caso di lesioni fisiche di lieve entità, di risarcire il danno biologico da invalidità permanente laddove manchi un “accertamento visivo strumentale”.

Per inquadrare il tema, occorre fare un passo indietro e per l’esattezza occorre rispolverare i provvedimenti normativi che, a cavallo tra il 2012 e il 2017, hanno interessato l’art. 139 del Codice delle assicurazioni per precisare che “le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”. Le lesioni di lieve entità, ovvero quelle comprese tra 1 e 9 punti percentuali secondo i criteri di accertamento medico-legale, sono peraltro quelle che si presentano con maggiore frequenza nel caso di sinistri stradali; va da sé, quindi, che la questione in esame riguarda le sorti di milioni di automobilisti italiani, che rischiano di vedere drasticamente ridotti gli importi dei risarcimenti.

La modifica normativa recentemente intervenuta risponde del resto all’esigenza di contenere i “risarcimenti facili”, fenomeno che riguarda principalmente le lesioni di lieve entità (per le quali, quindi, l’accertamento diventa difficile e, quindi, opinabile); in particolare, il legislatore ha cercato di limitare il risarcimento ai soli casi effettivamente accertati. Il punto, su cui si è scatenata la giurisprudenza degli ultimi anni, è quando si possa parlare di “caso effettivamente accertato”; quando, cioè, si può dire di aver raggiunto la certezza nell’accertamento della microlesione? Calando questa domanda sul caso concreto: per poter risarcire i postumi invalidanti da tamponamento serve un accertamento strumentale (ad esempio: raggi), oppure no?

Ovviamente, le assicurazioni hanno da subito interpretato questa formulazione nel senso che, in assenza di una lesione “visibile”, come una cicatrice ovvero una frattura, non dovrebbe esserci alcun risarcimento a titolo di danno biologico permanente; per contro, si è sostenuto che questa lettura così restrittiva finirebbe per limitare l’operato dei medici legali, di fatto precludendo loro l’utilizzo di criteri diversi da quelli “visivi”.

Sul punto si è pronunciata dapprima la Corte Costituzionale, che ha giustificato il sistema in nome della necessità di contenere i risarcimenti elargiti con troppa facilità, ma, soprattutto, si è pronunciata la Corte di cassazione. Il Giudice di legittimità ha chiarito che il senso delle restrizioni introdotte a cavallo tra il 2012 e il 2017 è quello di evitare risarcimenti fondati esclusivamente sul dato anamnestico, ovvero sulle sensazioni riferite dalla vittima; questo significa che l’indagine del medico legale non è limitata o vincolata all’adozione di un canone specifico, ma semplicemente che l’accertamento va adeguatamente motivato.  Ancora, la Corte di cassazione ha precisato che il risarcimento della micropermanente è possibile ogniqualvolta il medico legale, operando un’analisi conforme ai criteri scientifici, possa ritenere dimostrata l’esistenza di una lesione. Ciò che conta, quindi, è che si possa dire raggiunta l’obbiettività scientifica.

Ecco allora che, come per l’appunto conferma l’ordinanza n. 9856/2020, la sussistenza dell’invalidità permanente non può essere esclusa per il solo fatto di non essere documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un mero automatismo che ne vincoli il riconoscimento ad una verifica strumentale, ferma restando la necessità che l’accertamento della sussistenza della lesione dell’integrità psico-fisica avvenga secondo criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi.

(avv. Andrea Martinis)