Un’interessante sentenza del Tribunale di Milano (4651/2021) permette di fare il punto in merito alla questione – sempre di grande rilevanza – dell’impatto del lockdown sui canoni di locazione di tipo commerciale. La vicenda finita all’esame del Giudice è quella che ha riguardato – e riguarda – parecchie realtà commerciali italiane. Come noto, nella primavera 2020 c’è stata una serrata che ha bloccato per un paio di mesi parecchie attività, rendendo difficile – se non impossibile – pagare il canone di locazione. Da qui le conseguenze di natura giuridica e il contenzioso tra le parti.
Due punti di vista: locatore e conduttore
Il locatore chiede il pagamento dei canoni, anche per quanto riguarda i mesi di totale chiusura. Il versamento di una somma di denaro, del resto, è una prestazione fungibile, per cui è estremamente arduo pensare ad una totale “impossibilità” di pagare. Né al locatore è consentito sospendere i versamenti a cui è contrattualmente tenuto. Sotto questo profilo, il Tribunale osserva che il mancato pagamento del canone, nonostante la serrata, rappresenta un inadempimento grave, che può quindi giustificare la richiesta di risoluzione del contratto, avanzata dal locatore.
Dal punto di vista del conduttore, continua il Tribunale, c’è da valutare la portata del lockdown sugli obblighi contrattuali. Tenere fermo l’obbligo di versare il canone, da un lato e, dall’altro, fare i conti con l’impossibilità di utilizzare il locale, genera una situazione di squilibrio. La tentazione, pertanto, potrebbe essere quella di guardare al rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta: il conduttore, cioè, potrebbe ritenere che le mutate condizioni abbiano prodotto uno squilibrio tale da “far saltare” il contratto. Il Tribunale di Milano, però, non è di questo avviso e, anzi, ritiene che nel caso di specie il valore dell’immobile non abbia subito una variazione tale da generare una sproporzione consistente.
La tutela del conduttore
Questo non significa, però, che il conduttore non abbia nessuna tutela rispetto alla situazione che si viene a creare. Fermo restando che la restrizione non è imputabile al locatore, è innegabile che essa incida sul locatore, che non può esercitare l’attività all’interno dei locali. Se ciò, come si è detto, non libera dal pagamento del canone, non si può pensare che la situazione sia, per così dire, normale. Il locale è infatti stato preso in affitto per uno scopo ben preciso e l’impossibilità di attuare tale scopo, causa lockdown, legittima la richiesta di riduzione del canone di locazione.
Il ragionamento è, del resto, piuttosto intuitivo. L’immobile resta nella disponibilità del conduttore e non subisce una diminuzione di valore; tuttavia, è ben vero che l’occupante non è messo nella condizione di poterlo utilizzare per lo scopo in funzione del quale si è stipulato il contratto di affitto. Si può sostenere quindi che il conduttore, sebbene non per sua colpa, per il periodo di lockdown non abbia assicurato al conduttore il pieno godimento dell’immobile. Chiedere quindi un canone pieno, pur a fronte di questa compromissione, non è giustificabile. La misura della riduzione, ad avviso del Tribunale, può essere in misura del 50%. Questa indicazione viene presa dalla norma dettata in materia di impianti sportivi e il Giudice milanese, per analogia, la ritiene applicabile anche al caso di specie.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale