Nel processo penale, per poter acquisire e utilizzare contro l’imputato il contenuto di corrispondenza o telefonate, l’Autorità deve sottostare ad alcune regole che il codice di procedura pone a garanzia della privacy dei cittadini; si spiegano così i paletti imposti alla pubblica accusa per il sequestro di corrispondenza (art. 254 c.p.p.) o per le intercettazioni telefoniche (art. 266 ss. c.p.p.): se tali paletti non vengono rispettati, il materiale non è utilizzabile in sede processuale.

Questa rigidità, però, non trova applicazione nel caso di messaggi recapitati su Whatsapp che, nel momento in cui sono giunti a destinazione e vengono quindi conservati nella memoria dello smartphone, assumono la veste di documento e, come tali, non soggiacciono alle rigide regole di acquisizione dettate per corrispondenza e comunicazioni telefoniche.

Come spiega la Cassazione (sentenza 1822 del 17 gennaio 2020), facendo eco ad una costante giurisprudenza, il messaggio che si trova sulla chat di Whatsapp non è una comunicazione in attesa di giungere a destinazione, come potrebbe essere una lettera in transito o una telefonata in corso, ma, avendo già raggiunto il destinatario ed essendo quindi stato acquisito nella memoria del telefono, è un documento già formato e, come tale, acquisibile e utilizzabile, anche con una semplice riproduzione fotografica o uno screenshot. È sufficiente, quindi, che venga sequestrato lo smartphone per poter accedere ai messaggi che vi sono contenuti.

(avv. Andrea Martinis)