La possibilità di mettere un contatto sgradito in blacklist non esclude la rilevanza penale dei messaggi molesti ricevuti. In estrema sintesi, è quanto emerge da una recente pronuncia della Cassazione penale (sentenza n. 37974/2012).
Il reato di molestie e gli elementi che lo compongono
Ma andiamo con ordine. Il caso è quello di una persona che, per una settimana, ha tempestato di messaggi Whatsapp un suo contatto. Il reato che viene in rilievo in casi simili è quello previsto dall’art. 660 c.p., ovvero le molestie. Si hanno molestie, in senso penalmente rilevante, quando chi agisce, “con il mezzo del telefono”, mosso da “petulanza o altro biasimevole motivo”, disturba qualcuno. Tre sono gli elementi che vengono in evidenza: a) il mezzo telefonico; b) la petulanza; c) il disturbo. Per aversi reato, queste tre caselle devono dirsi riempite.
Il punto b) riguarda la motivazione alla base dell’uso del telefono. È richiesto, cioè, che chi si attacca alla cornetta o allo smartphone, lo faccia per una ragione biasimevole. Deve mancare, cioè, una ragione seria ed apprezzabile dietro a quella condotta insistente. Più articolata, invece, l’indagine relativa agli altri due punti.
Con che strumenti si realizza la molestia?
Quanto al mezzo telefonico, l’interpretazione che la giurisprudenza ha offerto negli anni si è dovuta adeguare, rincorrendola affannosamente, all’evoluzione tecnologica. All’epoca in cui la norma è stata scritta, il telefono era praticamente l’unico mezzo esistente per le comunicazioni a distanza; oggi, ovviamente, sappiamo che non è così. Man mano che nuovi strumenti si sono affacciati sul mercato, la giurisprudenza si è preoccupata di verificare se potessero essere rilevanti per provocare le “molestie” di cui all’art. 660.
Gli interpreti hanno rivolto la loro attenzione sulla sincronicità della comunicazione. Si è detto, cioè, che, per poter ritenere rilevanti le comunicazioni inviate, il ricevente debba avere la possibilità, suo malgrado, di riceverle “in diretta”. Secondo questa impostazione, pertanto, lo “squillo” o l’invio di un SMS possono essere una forma di molestia, mentre non lo è l’invio di una e-mail. Come mai? Perché, si diceva, per verificare se è arrivata una e-mail, serve accedere alla propria casella, mentre gli squilli e gli sms arrivano in ogni caso.
Il carattere invasivo della comunicazione
Concentrandosi sul carattere invasivo della comunicazione, Simile distinzione ha perso senso nel momento in cui le e-mail sono di fatto approdate anche sui nostri smartphone, per cui abbiamo oggi una suoneria o una notifica che ci avvisa del loro arrivo. Nessuno dubiterebbe, oggi, che anche le e-mail possono rappresentare una “molestia”. Ed infatti anche la giurisprudenza si è allineata a questa lettura, spostando il focus dalla sincronicità alla invasività. La comunicazione diventa potenziale molestia nella misura in cui può essere invasiva.
Ecco quindi che diventa fondamentale concentrarsi sul punto c), ovvero il disturbo. La comunicazione, per essere penalmente sanzionata, deve essere molesta. Deve, cioè, essere un’invasione degli spazi altrui, rappresentata dalla suoneria, oppure dalla percezione di un’anteprima del messaggio. Sotto questo aspetto, l’invio di messaggi attraverso Whatsapp, come avvenuto nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, ben può rappresentare una molestia.
La blacklist non “salva” il molestatore
Ma la domanda che ci si può porre è: perché la vittima non inserisce il contatto in blacklist? Sappiamo tutti, infatti, che gli smartphone consentono di “bloccare” i contatti indesiderati, andando di fatto a silenziarli. Si potrebbe arrivare a sostenere, quindi, che chi non vuole essere disturbato può bloccare il chiamante, risparmiandosi così le molestie. La Cassazione, però, non è d’accordo. Dicono i Giudici: ciò che rileva è comunque l’invasività della comunicazione. La possibilità di evitare di visualizzare il messaggio, proseguono, non esclude la sua invasività. La possibilità di “difendersi” dai molestatori, in sostanza, non fa venir meno l’illiceità del loro comportamento.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale