Il phishing è un fenomeno in continua crescita. Si tratta di appropriarsi, in maniera truffaldina, delle credenziali home banking, per poi andare ad effettuare delle operazioni svuota-conto corrente, all’insaputa ovviamente del suo titolare. In un’epoca in cui messaggi ed e-mail sono incessanti e si può fare tutto con lo smartphone, le possibilità di commettere questo genere di reato sono tantissime.
Prescindendo dalle questioni penali, è interessante focalizzarsi sulle conseguenze civilistiche del phishing. In altre parole: il correntista che si vede defraudato ha modo di recuperare la somma persa? La responsabilità del truffatore è ovviamente indiscutibile, ma, trattandosi di crimini informatici, individuare chi ci sia dietro è spesso impossibile. Il correntista, quindi, cercherà di rivolgersi altrove, ovvero verso l’istituto di credito. Esiste, quindi, una responsabilità della banca in caso di bonifico effettuato senza il consenso del titolare del conto corrente?
La norma che responsabilizza le banche
La giurisprudenza offre una risposta positiva a questa domanda. Il punto di partenza è offerto dal d.lgs. 11/2010 (attuazione della direttiva europea in materia di servizi di pagamento). Questa norma prevede che, nel caso in cui il correntista neghi di aver autorizzato l’operazione compiuta sul suo conto, è onere della banca dimostrare che l’operazione è stata processata correttamente e che non ha subito le conseguenze di malfunzionamenti o inconvenienti. Insomma: alla banca non basta dire “ho ricevuto questa disposizione e l’ho processata”. Serve la prova – e la deve offrire l’istituto di credito – che le cose si siano svolte in modo corretto.
Questo meccanismo probatorio è stato ritenuto apprezzabile dalla Corte di cassazione: la banca, che ha il controllo sull’andamento delle operazioni in conto, ha infatti modo di dimostrare agevolmente che una disposizione non riconosciuta sia in realtà stata processata correttamente. All’istituto di credito è chiesta la diligenza di natura tecnica. La banca sa benissimo che esiste il pericolo di phishing e, pertanto, è tenuta ad approntare un meccanismo di funzionamento tale da garantire i correntisti contro tale rischio. Se poi è il diretto interessato ad essere stato imprudente, la banca lo potrà dimostrare.
Se, però, la banca non è in grado di provare che il correntista ha commesso un errore, ovvero ha agito dolosamente o con colpa, l’operazione contestata non potrà ritenersi valida. In questa ipotesi, il cliente andrà rimborsato per la perdita subita.

Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale