Il Tribunale di Milano – Sezione specializzata imprese ha risolto una interessante questione che riguardava il cosiddetto diritto di paternità su un’opera. Come fa intuire l’espressione, si tratta della posizione giuridica spettante a chi può vantare di essere l’autore di un’opera. È un diritto diverso rispetto a quello che autorizza l’utilizzo, ovvero ricavare un vantaggio economico dall’uso. Si tratta cioè di una posizione inalienabile e – soprattutto – destinata a durare per sempre. L’autore di un’opera, infatti, è destinato a restare tale.

Nel caso sottoposto al Tribunale, una nota griffe di moda ha utilizzato un’immagine per applicarla su una linea di abbigliamento e un artista ha reclamato di essere l’autore di quell’opera. Si è quindi rivolto al Tribunale, per ottenere una pronuncia in tal senso.

Ora, la domanda è: come si fa a dimostrare di essere gli autori di un’opera? Il diritto di paternità nasce con la realizzazione e la normativa sul diritto d’autore consente di raggiungere la prova della realizzazione anche senza bisogno di indagini particolari. In altre parole: non è indispensabile la registrazione, se si riesce comunque a fornire degli elementi tali da far presumere la paternità.

Un upload sui social non basta

L’artista qui ha fornito un solo indizio, consistente nell’aver pubblicato su Facebook, anni prima, l’immagine incriminata. Un post in bacheca, quindi, come prova della paternità. Secondo il Tribunale, è troppo poco. Ad avviso dei giudici, il presunto autore avrebbe potuto fornire indicazioni ulteriori, come ad esempio quelle relative al modo in cui ha realizzato l’opera (con quali tecniche) o documentando eventuali esposizioni tenute nel corso degli anni. L’assenza di una firma sull’immagine, oltretutto, rendeva difficile accogliere le pretese dell’artista.

Questa decisione appare in linea con quello che è l’utilizzo quotidiano dei social, che ogni giorno vengono inondati da post contenenti immagini che solitamente vengono prese dalla Rete. Chi fa un post difficilmente si ferma a fare verifiche circa la paternità dell’immagine che sta condividendo. Davanti a fenomeni come le condivisioni di massa o, peggio ancora, il freebooting, pensare che un singolo upload sul proprio profilo social possa valere come prova di paternità, effettivamente sarebbe fuori dal tempo.