Creare un profilo fake su Facebook può portare a guai seri. È capitato ad una donna che non si dava pace per la fine di una relazione e ha usato il social per cercare di recuperare il rapporto con l’ex. Ha creato un profilo apparentemente attribuito ad un conoscente, modificando semplicemente una delle lettere del suo nome, ma usando una foto di costui. Attraverso questo profilo, la donna contattava sia l’ex che la madre di lui, con cui non era rimasta in buoni rapporti.
Account fake, dal punto di vista giuridico
I nodi, però, vengono presto al pettine, visto che sia l’ex che sua madre incontrano il conoscente a quattr’occhi, per chiedergli spiegazioni sui messaggi ricevuti. Messaggi che, ovviamente, lui non ha mai mandato. Scatta quindi una denuncia presso la Polizia Postale. Viene in rilievo il reato di trattamento illecito di dati personali (art. 167 Codice privacy), norma che – all’epoca dei fatti – sanzionava l’illecito utilizzo di dati altrui. Oggi, analoga situazione verrebbe verosimilmente assorbita nell’ipotesi di sostituzione di persona (art. 494 codice penale), nota anche come furto di identità.
La condotta illecita è ovviamente quella di fingersi una persona diversa. Una situazione che va a minare l’identità personale del malcapitato di turno, privato di un diritto fondamentale. La vittima, infatti, perde il diritto di essere sé stesso. La presenza di un profilo fake lo costringe a cancellare il proprio, o comunque a doversi attivare per smarcarsi da quello che dice e fa la persona dietro all’account falso. Viene annullata, in questo modo, la sua identità digitale.
Risarcimento del danno: ok, ma quale?
La responsabilità della donna, in questo caso, è pacifica in sede penale e infatti si arriva ad una pena. Resta, però, il nodo relativo al risarcimento del danno. C’è da chiedersi, infatti, se questo illecito trattamento di dati personali ha portato conseguenze negative sulla vittima ed, eventualmente, di quale entità.
Il Tribunale di Palermo (sentenza n. 2076/2022), chiamato a pronunciarsi, spiega che questo danno va dimostrato. Non basta, cioè, provare che c’è stato un profilo fake e che questo profilo è stato usato per interagire con gli altri. Serve argomentare in modo più approfondito, anche utilizzando presunzioni. Nel caso specifico, sicuramente un danno c’è stato, ma il profilo fake si è limitato ad interagire con poche persone, tutte appartenenti ad una cerchia ristretta. Le stesse offese indirettamente arrecate alla vittima, tutto sommato, sono rimaste vaghe e il malcapitato stesso non ha dato conto di aver subito precise conseguenze a causa di esse. Per queste ragioni, l’originaria richiesta risarcitoria (30.000 euro) viene ridotta a 6.000. Che, comunque, restano un prezzo abbastanza alto da pagare per un po’ di “divertimento” in rete.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale