L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni è un reato che si configura quando qualcuno, per far valere un proprio preteso diritto, anziché rivolgersi al Giudice, si fa “giustizia da sé”, ricorrendo alla violenza su cose (art. 392 c.p.) o persone (art. 393 c.p.). In sostanza, la legge punisce chi, pur potendo ricorrere alla via giudiziaria, decide di “fare lo sceriffo”.

Questa condotta, che viene punita, nella ipotesi di violenza sulle persone, con la reclusione fino ad un anno, può però trasformarsi in estorsione ex art. 629 c.p., norma che, sinteticamente, punisce chiunque usi violenza per procurarsi un ingiusto profitto. Ed è appena il caso di notare che l’estorsione viene punita in modo molto più significativo (reclusione da cinque a dieci anni) rispetto all’esercizio arbitrario: diventa quindi importante stabilire quale sia il confine tra i due reati.

Si dimostra utile la lettura di una sentenza della Corte di cassazione (30792 del 2020), che fornisce due parametri per “leggere” altrettante situazioni. Il caso è quello di un debito non pagato e per il quale il creditore, anziché ricorrere al Tribunale, ha preferito minacciare il debitore. Fin qui, restiamo nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma si passa all’estorsione quando la minaccia, anziché essere rivolta al debitore, tenuto al pagamento, sia indirizzata ai suoi familiari, estranei al rapporto obbligazionario. In questo caso, è evidente che non c’è un esercizio arbitrario delle proprie ragioni, proprio perché non sarebbe possibile, per il creditore, chiamare in giudizio i familiari del suo debitore, visto che essi nulla gli devono. Il fatto, quindi, che manchi in radice una pretesa giuridicamente azionabile, esclude che si possa pensare all’ipotesi della “giustizia da sé”.

Questo criterio consente di risolvere un’altra situazione, che si presenta quando la minaccia o la violenza siano dirette ad ottenere una pretesa che nessun giudice potrebbe mai accogliere, come, nel caso esaminato dalla Cassazione, il ritiro di una denuncia. Tale pretesa, infatti, non è nemmeno astrattamente azionabile in giudizio (non ci si può infatti rivolgere ad un giudice affinché obblighi qualcuno a ritirare una denuncia), sì che perseguire questo scopo con l’uso di violenza è sempre una condotta punibile a titolo di estorsione.

(avv. Andrea Martinis)