I commenti “infuocati” di un tifoso di calcio, postati sotto le fotografie caricate dal profilo social della squadra, possono costare all’autore la condanna in relazione a reati come istigazione a delinquere (art. 414 c.p.) e diffamazione aggravata (art. 595 c.p.). È quanto stabilito dalla Corte di cassazione (sentenza n. 28686/2020), che si è appunto occupata della vicenda di un tifoso il quale si era accanito contro un giocatore della sua squadra del cuore, reo, a suo avviso, di aver venduto alcune partite.

Questa convinzione ha portato il tifoso a scrivere una serie di commenti offensivi, postati ripetutamente sotto le foto pubblicate sull’account ufficiale della squadra di calcio, assieme ad espliciti inviti, rivolti agli altri tifosi, a recarsi presso l’abitazione del calciatore, al fine di “punirlo” per la (presunta) implicazione in un giro di scommesse. La diffamazione, chiaramente, risulta integrata dal fatto di aver rivolto offese ad un soggetto specifico, attraverso la comunicazione con più persone (ovvero tutti gli utenti social che possono accedere a quel contenuto) e proprio in quanto veicolata via Internet risulta aggravata. Quanto all’istigazione a delinquere, gli inviti alla “azione” erano sufficientemente espliciti per non far dubitare della configurazione del reato.

Secondo la Cassazione, quindi, i giudici di merito che hanno esaminato la vicenda hanno correttamente ritenuto integrati i reati di cui si è detto, visto il carattere esplicito dei commenti. L’aspetto su cui, semmai, si è concentrata l’analisi della Corte è quello relativo alla riferibilità delle condotte all’imputato: come ritenere provato, cioè, che quei commenti siano effettivamente partiti dall’account del tifoso? La Cassazione ha potuto verificare che, in fase di indagine, presso l’abitazione dell’imputato era stato rinvenuto un pc, collegato ad Internet, su cui erano state trovate foto del calciatore offeso, così come – dall’analisi del pc attraverso una consulenza tecnica – si era avuta conferma che l’indirizzo IP utilizzato per postare i commenti offensivi era effettivamente riconducibile al tifoso ed in particolare all’account da lui utilizzato per accedere al social network. Da un esame delle celle telefoniche, è poi stato provato che il tifoso aveva utilizzato anche uno smartphone per accedere al suo account e postare ulteriori commenti infuocati.

Ancora una volta, quindi, la facilità di uso dei social ha portato un utente a varcare con leggerezza la soglia della liceità.

(avv. Andrea Martinis)