Il problema degli assembramenti notturni sotto casa rappresenta ormai un vero e proprio filone giurisprudenziale. La situazione è nota a tutti coloro che abitano sopra un bar o un locale o che comunque vivono in una zona che di sera è frequentata da persone. Anche dopo la chiusura degli esercizi, infatti, la gente si ferma in strada, a volte per ore, provocando inevitabilmente rumore, che turba il sonno di chi abita nei paraggi.

Le immissioni, la normale tollerabilità e i danni

Una questione di convivenza che finisce spesso in aula di giustizia, perché gli insonni invocano l’art. 844 c.c., norma che pone un limite alle immissioni (in questo caso, quelle sonore), quando superano il limite della “normale tollerabilità”. Simile parametro di valutazione rappresenta il vero cardine della decisione: si tratta di stabilire, cioè, quando i rumori possono ritenersi tollerabili. Un difficile equilibrio, quindi, tra le esigenze di chi vuole riposare e di chi vuole passare del tempo in compagnia.

Ma, tralasciando per un attimo le perizie fonometriche e le consulenze tecniche sulla portata fonoassorbente dei serramenti, c’è un’altra questione che sorge dall’applicazione dell’art. 844 c.c.: chi paga i danni? Ci si domanda, cioè, chi debba essere considerato responsabile per i rumori molesti. Ora, la risposta è agevole se le doglianze sono indirizzate, ad esempio, verso un bar che organizza djset a volumi pazzeschi. Meno scontato, invece, è il caso in cui i rumori siano provocati da persone che si attardano a locali già chiusi. Il titolare del locale, infatti, potrà sempre giustificarsi dicendo di aver abbassato la serranda.

Il risarcimento danni chiesto al Comune

Nel caso recentemente deciso dalla Corte di cassazione (sentenza n. 14209/2023), due coniugi si sono rivolti direttamente al Comune di residenza, chiedendo il risarcimento dei danni per il sonno perso. Ad avviso della coppia, l’Ente locale avrebbe omesso di vigilare e di assicurare il rispetto della quiete pubblica. In altre parole: la gente non rumoreggia in bar, ma in strada, ad orari in cui i locali sono già chiusi; spetterebbe al Comune, quindi, assicurare che non si verifichino assembramenti tali da turbare il sonno altrui.

La questione è stata dibattuta nei vari gradi di giudizio: inizialmente, il Tribunale ha accolto la domanda, ma la Corte d’appello ha deciso in senso opposto. A muovere il giudice di secondo grado è la convinzione che, in assenza di norme specifiche invocate dai coniugi, il Comune non possa essere destinatario di provvedimenti disposti dal giudice ordinario. In parole povere, secondo la Corte d’appello, non sono state invocate precise disposizioni in base alle quali l’Ente locale dovrebbe vigilare per assicurare la quiete pubblica.

Secondo la Cassazione, è il Comune che deve risarcire i danni

La Cassazione, invece, ritiene che la domanda è correttamente posta. Lo sostiene sulla base del principio del neminem laedere, che fonda il diritto al risarcimento del danno da illecito. Pacifica l’esistenza del diritto alla salute, il privato in questo caso si duole della sua lesione e chiama a rispondere il soggetto che dovrebbe assicurare la corretta gestione dei propri beni (in questo caso, la strada). Il Comune, quindi, in quanto soggetto gestore della strada, è tenuto ad assicurare che dall’uso della stessa non derivi pregiudizio ai cittadini.

Sussiste pertanto un diritto al risarcimento del danno. Ma sussiste anche la possibilità che il giudice ordinario imponga al Comune di adottare misure correttive volte ad assicurare la cessazione delle immissioni intollerabili. Non si tratterà di indicare provvedimenti discrezionali ed autoritativi, ma semplicemente di condannare genericamente ad assicurare il ripristino della legalità.