Capita sempre più spesso che, tra gli elementi di prova utilizzati in giudizio, ci siano degli screenshot presi da qualche social network. Fotografare quello che qualcuno scrive, i posti dove si tagga, le immagini che pubblica eccetera, rappresenta un modo per dimostrare una tesi da sottoporre al giudice. Sarebbe però sbagliato pensare che sia sufficiente allegare una serie di screenshot per dimostrare in modo incontrovertibile qualcosa.
A regolare il modo in cui il giudice deve motivare le proprie decisioni, infatti, ci sono alcune precise disposizioni di legge e in particolare del codice di procedura civile. Il giudicante, infatti, deve valutare gli elementi a sua disposizione “secondo il suo prudente apprezzamento” (art. 116 c.p.c.). Inoltre, può avvalersi di “nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza” (art. 115 c.p.c.). Queste due disposizioni, se da un lato affermano una certa autonomia decisionale in capo al giudice, dall’altro vanno anche a limitarla, perché, sentenza alla mano, bisognerà verificare il rispetto di questi criteri metodologici. La possibilità di usare uno screenshot preso da social come prova, quindi, passa da qui.
Il limite al ragionamento presuntivo
Queste norme, quindi, rappresentano un freno alla “fantasia”. Ed è sulla base di esse, ad esempio, che la Corte di cassazione ha recentemente ridotto la portata probatoria di uno screenshot preso dai social. La storia è quella di un matrimonio finito, con assegno divorzile posto dal Tribunale a carico del marito. Questi però, tempo dopo, chiede la revisione della somma posta a suo carico, sostenendo che l’ex moglie nel frattempo sia andata convivere con un altro. Per dimostrarlo, porta in tribunale alcuni screenshot di fotografie della coppia.
Per i giudici, però, non basta e la Cassazione (ordinanza n. 8988/2023) conferma questa decisione. Dallo screenshot, infatti, quello che si può desumere è che esiste una relazione tra l’ex moglie e il nuovo compagno. Indubbiamente, i due sono una coppia e stanno assieme. Ma dal fatto noto (la relazione) non è possibile dedurre quello ignoto (la convivenza). Se ritenesse provata la convivenza, il salto che il giudice andrebbe a compiere andrebbe a violare i principi visti sopra. Il freno, quindi, si è attivato.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale