Acquistare uno smartphone (ma anche qualche altro device di largo utilizzo, come pad, notebook ecc.) di seconda mano è ormai una pratica molto diffusa, soprattutto per chi è particolarmente attento al risparmio. Le possibilità non mancano, visto che, da piattaforme come Ebay al negozietto di quartiere, i negozi di materiale usato abbondano e promettono agli acquirenti di trovare un’occasione irripetibile. Nel prezzo totale dell’operazione, però, a volte va messa in conto la possibilità di avere qualche problema con la giustizia, visto che può succedere che l’oggetto acquistato sia precedentemente stato rubato. In questa ipotesi, a carico dell’acquirente possono configurarsi differenti addebiti a livello penale, corrispondenti ad altrettante circostanze del caso concreto. È bene tenere presenti le possibili eventualità, anche al fine di non correre rischi che non si giustificano con l’obiettivo di “fare un affare”.

È ovvio infatti che se l’acquirente è consapevole di comprare merce rubata, a suo carico si configura l’ipotesi di ricettazione (art. 648 c.p.), reato punito con la reclusione da due a otto anni. Diversa è invece la situazione se l’acquirente ignora la provenienza dell’oggetto. Sarebbe facile pensare alla fattispecie di incauto acquisto (art. 712 c.p.), contravvenzione che punisce con l’arresto fino a sei mesi chi compra oggetti che appaiono sospetti ma non ne accerta la provenienza. Eppure non è così scontato che la semplice ignoranza o comunque un atteggiamento, per così dire, “leggero” porti automaticamente l’acquirente a “cavarsela” con l’incauto acquisto, in quanto la giurisprudenza ha spesso tracciato un confine molto sottile con la ricettazione.

La chiave risiede nell’elemento soggettivo, ovvero nel comprendere cosa è passato per la mente dell’acquirente nel momento in cui ha concluso la sua operazione e il confine tra incauto acquisto e ricettazione si supera quando l’acquirente, anziché essere semplicemente non diligente nel verificare da dove possa arrivare la merce, va ad accettare il rischio che quella merce possa essere stata precedentemente rubata. Ecco quindi che la giurisprudenza ha applicato la pena prevista per la ricettazione nel caso in cui l’acquirente, pur avendo ricevuto invito in tal senso da parte dell’Autorità inquirente, abbia omesso di indicare la provenienza della cosa acquistata, in questo modo cioè dimostrando di voler “coprire” chi gli ha venduto la merce (Cassazione penale, sentenza 29198 del 2010); per non dover rispondere di ricettazione, del resto, non si chiede all’acquirente di dimostrare che la merce sia “pulita”, ma di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso del bene (Cassazione penale, sentenza 35535 del 2007), in modo tale da far ritenere che l’acquisto sia semplicemente stato incauto e non in mala fede. In quest’ottica, pertanto, acquistare un oggetto fuori dai comuni canali di commercializzazione senza adoperarsi per giustificare la legittima provenienza del bene è stato ritenuto sintomatico del dolo di ricettazione (Cassazione penale, sentenza 25578 del 2020).

Un aspetto da prendere in serissima considerazione, vista la differenza con cui sono puniti i due reati.

(avv. Andrea Martinis)