Come noto, il cosiddetto “decreto trasparenza” (d.lgs. 104/2022) ha introdotto alcune novità a carico del datore di lavoro, modificando il testo del d.lgs. 152/1997, in materia di condizioni di lavoro trasparenti. In particolare, il datore deve informare il dipendente circa l’esistenza di “sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori”.
Il supporto tecnologico, del resto, sta diventando sempre più presente nel mondo del lavoro: la tecnologia aiuta il datore a livello organizzativo e in alcuni casi offre gli elementi per l’adozione di decisioni rilevanti per la carriera del dipendente. In queste circostanze, la nuova norma impone che il lavoratore riceva alcune delucidazioni sul funzionamento degli strumenti impiegati, sul tipo di dati elaborati, sullo scopo del trattamento, sulle misure di sicurezza adottate, eccetera.
L’obbligo informativo e il suo presupposto
L’imprenditore, quindi, si trova gravato da un nuovo obbligo informativo che può rivelarsi piuttosto complesso. Si tratta infatti di una disclosure che, se omessa, può comportare l’irrogazione di sanzioni anche pesanti. Ed è bene notare che l’informazione deve arrivare non solo ai singoli dipendenti, ma anche alle rappresentanze sindacali.
Davanti a simili premesse, diventa fondamentale perimetrare il campo d’azione: quand’è che il datore deve attivarsi? La risposta risiede nella lettera della legge e nel supporto offerto dalla Circolare n. 19/2022 del Ministero del Lavoro. Quelli che rilevano, infatti, sono solo i “sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati” che forniscono indicazioni rilevanti: questo significa che la tecnologia impiegata è quella basata su software o algoritmi che si sostituiscono all’uomo nel prendere una decisione.
Il punto di partenza è dato dal trattamento automatizzato. Si deve trattare, cioè, di un sistema che funziona senza l’intervento umano. È logico, del resto, pensare che sia proprio l’assenza del controllo personale l’elemento che suscita la cautela alla base dell’obbligo di informativa. Il dipendente, cioè, deve sapere che è in atto un meccanismo di controllo così penetrante.
Quando va resa l’informativa?
Non tutti i trattamenti automatizzati, però, rilevano ai fini dell’obbligo in questione. Serve, infatti, che l’algoritmo o il software impiegato porti all’assunzione di una decisione rilevante per la carriera o comunque per la prosecuzione del rapporto con il lavoratore. Questo significa che, ad esempio, un sistema di rilevamento delle presenze, che funziona attraverso il badge strisciato in ingresso, non è rilevante ai fini che qui occupano. Acquisire la presenza di un dipendente, infatti, è una semplice operazione che non porta ad una decisione specifica.
Ben diverso il caso in cui si mettono in pasto a una macchina i dati forniti con un curriculum per ottenere un responso circa l’assunzione o la collocazione ottimale in azienda. Si tratta esattamente del tipo di sistema automatizzato di cui informare il dipendente. Parimenti, anche la gestione automatizzata del rapporto di lavoro, calcolando con l’aiuto di un software la produttività e la conseguente retribuzione, è un trattamento rilevante. In assenza di un elenco normativo, per capire cosa va comunicato, è necessario quindi analizzare questi due aspetti. In questo modo si può valutare, di volta in volta, l’adozione delle misure opportune.
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale