Anche chi non fa parte del mondo degli ultras sa che uno dei modi per dimostrare la superiorità di una tifoseria sull’altra è sottrarre agli avversari uno striscione. Agli “addetti ai lavori” questa azione non appare altro che un gioco tra rivali che, scontrandosi tra loro, accettano alcune regole non scritte. Chi perde lo striscione, subisce poi l’umiliazione degli avversari.

Il rito però può avere delle conseguenze penali. A tutti è evidente come sottrarre qualcosa a qualcuno sia praticamente la definizione del reato di furto. Nel caso specifico, c’è anche una componente di violenza, visto che, solitamente, la sottrazione scatta nel corso di scontri fisici tra gruppi di ultras. L’elemento della violenza comporta che da furto si passa a rapina, reato piuttosto grave.

La Corte di cassazione (sentenza n. 18977/21) ha infatti confermato la condanna per rapina, pronunciata a carico di un tifoso che aveva sottratto uno striscione ai supporters avversari. L’ultras ha provato a difendersi, sostenendo che l’oggetto sottratto non ha un valore economico apprezzabile e che il gesto non viene compiuto per impossessarsi di un bene, ma semplicemente per dimostrare la superiorità di una tifoseria sull’altra.

Questa difesa fa perno sulla definizione di rapina (art. 628 codice penale) che si compone di questi elementi: sottrazione di una cosa mobile, violenza (o minaccia), finalità di procurarsi un profitto ingiusto. Nella logica del tifoso, la sottrazione dello striscione non è compiuta con un fine di arricchimento, che peraltro non potrebbe nemmeno esserci, visto il valore economico nullo dell’oggetto.

Di diverso avviso però sono stati i Giudici, secondo cui si deve intendere il concetto di “profitto” in senso ampio, comprendendo non solo il vantaggio di natura squisitamente economica. Si giustifica, quindi, la condanna del tifoso.