Il principio di minimizzazione è uno dei fondamenti del sistema privacy disegnato dal GPDR. Il suo significato è piuttosto intuitivo: nel trattare i dati personali, bisogna limitarsi a quelli che sono strettamente funzionali alla finalità perseguita. Poiché il trattamento di dati è un’attività rischiosa (possono essere persi, distrutti o alterati), è intuitivo pensare che, limitando il numero o la tipologia di informazioni trattate, si riesce anche a circoscrivere l’area di rischio che li riguarda. Questo principio si traduce in indicazioni pratiche che sono all’ordine del giorno e che impongono di verificare se, nell’ambito di un trattamento di dati, ci siano informazioni sovrabbondanti o inutili, che vadano quindi eliminate.

Non rispettare il principio di minimizzazione può comportare una responsabilità a carico di chi, per questo motivo, vada a trattare dati personali in modo esorbitante rispetto alla finalità perseguita.

Un caso pratico: mancata minimizzazione e risarcimento del danno

È quello che, ad esempio, è capitato nel caso deciso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 11020 del 2021. Una persona ha presentato un esposto nei confronti di un avvocato che, in precedenza, lavorava presso la Pubblica Amministrazione. Nell’esposto, si menzionava il fatto che, durante tale precedente impiego, l’avvocato aveva subito alcuni procedimenti disciplinari, promossi proprio dall’autore dell’esposto, all’epoca sovraordinato al legale. In pratica: l’ex capo, presentando un esposto contro un libero professionista che in passato è stato suo ex dipendente, segnalava che in passato aveva già avuto modo di “bacchettarlo”.

L’avvocato, difendendosi dall’esposto, segnala che tutti quei procedimenti disciplinari, promossi nei suoi confronti dal vecchio superiore, non avevano alcun legame con l’esercizio della professione. La loro menzione nel contesto di un esposto presentato all’Ordine di appartenenza, quindi, non si giustifica. Inoltre, quei procedimenti si erano tutti conclusi con l’archiviazione. Averli riportati nel testo dell’esposto presentato all’Ordine degli Avvocati, secondo il diretto interessato, serviva solamente a gettare discredito nei suoi confronti.

Conclusasi la vicenda con l’archiviazione dell’esposto, l’avvocato agisce allora contro l’ex capo, chiedendo il risarcimento dei danni proprio perché, nel presentare l’esposto, sono stati divulgati dati personali (i precedenti procedimenti disciplinari) irrilevanti. Il giudizio, che è giunto fino alla Cassazione, si è concluso con una pronuncia di condanna. C’è da dire che la decisione è stata presa sulla base dell’art. 15 del vecchio Codice privacy, ora non più in vigore, ma le argomentazioni poste alla base restano valide anche alla luce della nuova normativa. La ragione che ha spinto i giudici a pronunciare una condanna al risarcimento dei danni, infatti, è proprio il mancato rispetto del principio di minimizzazione.

Vanno trattati solo i dati funzionali allo scopo perseguito

La Corte di cassazione lo ha affermato in modo chiaro. Se è vero, infatti, che presentare un esposto comporta per sua natura un trattamento di dati (per descrivere la condotta del professionista e spiegare le violazioni che si ritengono commesse), è però indispensabile che debbano essere utilizzati “solo i dati indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui sono raccolti e trattati”. Nel caso specifico, fare menzione di precedenti procedimenti disciplinari, omettendo peraltro di precisare che erano tutti stati archiviati, non era funzionale all’esposto, perché si tratta evidentemente di fatti relativi ad un periodo in cui il destinatario dell’esposto non faceva neppure l’avvocato.

Il mancato rispetto del principio di minimizzazione ha comportato la diffusione di dati personali sicuramente delicati, in quanto relativi alla condotta lavorativa. Queste informazioni sono state divulgate in un contesto (esposto all’Ordine di appartenenza) parimenti lavorativo ed è evidente il pregiudizio sofferto dal neo avvocato. Quest’ultimo, infatti, si ritrova a subire conseguenze negative non solo e non tanto a livello di danno morale, ma anche come danno di immagine e alla reputazione professionale. Per tali ragioni, si è ritenuta la fondatezza della richiesta di risarcimento danni.

(avv. Andrea Martinis)