Un problema che molti italiani stanno affrontando in seguito all’emergenza sanitaria e al suo impatto è quello relativo alle vacanze già pagate e forzatamente cancellate. Analogo problema, più in generale, è quello relativo ai titoli di viaggio (treni, aerei o altro) acquistati pre-Covid19 e che non è stato possibile utilizzare. Le restrizioni imposte dalle misure di contenimento, in particolare, hanno portato alla cancellazione di voli da parte delle compagnie aeree, facendo così emergere la questione del diritto al rimborso in favore dei passeggeri che avevano già pagato i biglietti. Parimenti, anche le strutture ricettive (alberghi, pensioni, bed&breakfast) si sono trovate costrette a chiudere, non potendo così soddisfare quei turisti o viaggiatori che avevano già sostenuto i costi della prenotazione.

Il decreto “cura Italia”, convertito in legge, ha previsto (art. 88-bis) che il vettore, la struttura ricettiva o l’organizzatore del pacchetto turistico può comunicare la cancellazione e offrire, in alternativa, il rimborso di quanto pagato ovvero un voucher di pari valore, da utilizzare entro un anno dall’emissione. La ragione di questa previsione è ovviamente quella di evitare che gli operatori del turismo e dei trasporti si trovino in crisi di liquidità per aver dovuto versare i rimborsi ai passeggeri. Crisi che ovviamente sarebbe aggravata dalla circostanza che, almeno nel breve periodo, non è prevista una ripresa per il settore turistico e dei viaggi.

Questa previsione, quindi, lascia all’operatore turistico/di viaggio la scelta tra rimborso e voucher, sì che il consumatore, nel caso in cui gli venga offerto un “buono viaggio”, deve ritenersi soddisfatto. Una soluzione, questa, che contrasta con le norme comunitarie in materia di diritti del consumatore. Il “codice del turismo”, infatti, recependo proprio queste norme, prevede espressamente che sia il consumatore a poter scegliere tra rimborso e voucher, e che non sia costretto a “subire” la scelta fatta dal tour operator.

Si presenta, così, un conflitto tra la norma “emergenziale” contenuta nel “cura Italia” e quella, per così dire, “standard”, che invece vige a livello europeo e che, proprio per questo, dovrebbe prevalere. Questo significa che alcuni consumatori, insoddisfatti dall’emissione di un voucher, potrebbero essere invogliati a portare la questione in tribunale, invocando la superiorità della normativa comunitaria. Il rischio a cui può portare il contenzioso, ovviamente, è quello di arrivare ad una sentenza favorevole per il consumatore, ma che quest’ultimo non potrà far valere perché, nel frattempo, il tour operator/vettore/struttura è fallito.

Da un punto di vista pratico, è comunque interessante notare come molti operatori, soprattutto se attivi a livello comunitario, stiano comunque offrendo l’alternativa voucher/rimborso. Questa strategia, lascia la scelta al consumatore ed evita di alimentare potenziali conflitti. Quando alla norma italiana, che peraltro rappresenta una scelta adottata anche in altri paesi dell’area Euro, non è escluso che nei prossimi giorni in sede europea arrivino delle indicazioni volte ad ottenere una sua correzione, anche al fine di evitare l’avvio di una procedura di infrazione.

(avv. Andrea Martinis)