Oggigiorno passiamo le giornate a creare dati. Scattiamo fotografie, chattiamo, ci scambiamo video, scarichiamo app o musica. Questi dati vengono immagazzinati nei nostri devices (smartphone, tablet, notebook…) ma spesso finiscono anche in cloud. È il caso, ad esempio del cosiddetto iCloud della Apple, che fornisce agli utenti un servizio di upload online, garantendo la portabilità dei dati caricati. Quando l’utente muore, dopo un tempo più o meno breve questi dati vengono cancellati, finendo persi per sempre. Tempistica e modalità dipendono dalle singole condizioni contrattuali.
E gli eredi? Vista l’incredibile quantità di dati che ormai fluttuano nelle nuvole, si può immaginare che gli eredi possano avere tutto l’interesse ad accedere a quello che, nel corso della vita, il defunto aveva caricato. In un’era pre-digitale, del resto, risulta facile immaginare una persona che, nel corso della vita, accumula album di fotografie, dischi, oggetti vari. Ebbene, chiunque sa che questi oggetti, dopo il decesso, entrano nel patrimonio degli eredi. Ma possiamo pensare lo stesso per i contenuti immateriali caricati sul cloud?
La decisione del Tribunale di Milano
Il problema è stato posto al Tribunale di Milano. I genitori di un ragazzo, scomparso in un sinistro stradale, hanno chiesto ad Apple di poter avere accesso ai dati che il figlio aveva sul suo iCloud. Le ragioni di questa richiesta sono facilmente intuibili e si riassumono nel desiderio di poter accedere agli ultimi ricordi che hanno segnato la vita del figlio. Parimenti comprensibile è la posizione giuridica dei genitori, unici eredi del defunto. La Apple non si è dimostrata collaborativa, opponendo in particolare alcune formalità proprie del diritto statunitense e non conciliabili con le norme italiane in materia di successioni. Davanti alle resistenze opposte dal colosso dell’informatica, si sono rivolti al Tribunale, chiedendo un provvedimento d’urgenza.
Il Tribunale è partito dal Codice Privacy (decreto legislativo 196/2003), come aggiornato dal decreto legislativo 101/2018. La norma nazionale, infatti, ha dettato alcune disposizioni specifiche per situazioni simili, riempiendo così il “vuoto” del Regolamento Europeo (GDPR), che ha lasciato agli Stati Membri facoltà di dotarsi di norme ad hoc. L’art. 12-terdecies del Codice Privacy prevede che i diritti in ambito privacy delle persone decedute possono essere esercitati da “chi ha un interesse […] o agisce per ragioni familiari meritevoli di protezione”. Le ragioni avanzate dai familiari-eredi del defunto, ad avviso del Tribunale, sono meritevoli. Nessun dubbio che tra i diritti esercitabili ci sia anche quello di accesso, che consente quindi di poter entrare in contatto con i dati archiviati in cloud.
Lo stesso articolo citato prevede un limite all’esercizio di questi diritti. Tale limite può risiedere nella legge, oppure può derivare dal rifiuto del titolare. Questa ultima eventualità è dettata proprio in materia di servizi informatici. In tali casi, il titolare può scegliere di escludere eventuali terzi dall’accesso ai dati archiviati, ma lo deve fare esplicitamente, “con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest’ultimo comunicata”. Nel caso deciso dal Tribunale, tale dichiarazione non c’era.
Considerato quindi meritevole l’interesse dei genitori, il Tribunale di Milano ha imposto ad Apple di fornire assistenza per il recupero dei dati contenuti nell’account del ragazzo.
(avv. Andrea Martinis)
Avv. Andrea MARTINIS
diritto civile (responsabilità civile, assicurazioni, recupero crediti), privacy, diritto penale