Dopo il precedente articolo (che trovi QUI), in cui abbiamo visto come funziona in teoria il “conto corrente cointestato”, analizziamo assieme un caso pratico. Si tratta di un conto corrente intestato a moglie e marito. L’uomo muore senza figli e lascia in vita la vedova e due fratelli, che sono i suoi unici eredi. In pratica, la sua eredità dev’essere divisa tra di essi nelle seguenti quote: 2/3 alla signora e 1/3 da dividersi tra i fratelli superstiti.

L’uomo aveva aperto un conto corrente “cointestato” con la moglie sul quale, al momento della morte, c’erano oltre 270.000,00 euro. Facciamo un po’ di conti: se il conto è cointestato, possiamo presumere che metà siano della moglie e metà del marito. Dunque, l’eredità è di 270.000,00 / 2 = 135.000,00. Di questi, 2/3 spettano alla vedova, ma 1/3 spettano ai fratelli, e cioè 135.000,00 / 3 = 45.000,00 euro. Con un piccolo problema: il giorno del decesso, la signora è andata in banca e ha prelevato metà dell’importo e, poi, ha ritenuto che tutti i 270.000,00 euro fossero suoi, sostenendo di averli versati tutti lei nel conto corrente.

Inizialmente se ne deve occupare il Tribunale di Roma, che accoglie la domanda dei fratelli e, essendo il conto corrente “cointestato”, riconosce ai fratelli la loro quota di eredità, peraltro condannando la vedova al pagamento delle spese di lite. Ma la signora non si dà per vinta ed impugna la sentenza davanti alla Corte d’appello di Roma, che invece ritiene fondata la tesi della signora, la quale sosteneva che tutti i soldi presenti sul conto corrente erano stati versati da lei soltanto e, pertanto, che fossero suoi. A questo punto, sono i fratelli a proseguire la causa rivolgendosi alla Corte di Cassazione.

I giudici ripercorrono i princìpi che regolano la materia: “La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi … la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto”. Cioè, in presenza di un conto cointestato, i soldi presenti si presumono siano dei coniugi al 50%. “Tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio”; cioè, è chi sostiene il contrario che deve dimostrare le sue ragioni e solo se dimostrerà di aver versato tutte le somme, vincerà la presunzione che sono sue solo per la metà.

Nel nostro caso, osserva la Corte di Cassazione, “La corte d’appello … ha riconosciuto la titolarità esclusiva del saldo esistente al momento della morte in capo alla (vedova), sulla base della considerazione di alcune cospicue rimesse operate dalla stessa, pur dando atto che sul conto era accreditata la pensione del coniuge”. Ma non basta prendere in esame alcuni versamenti per sapere da dove deriva il saldo del conto: bisogna analizzarli tutti, e ciò non è stato fatto. Pertanto, non è detto che la vedova abbia ragione, poiché ha dimostrato i suoi versamenti, ma non ha escluso che ce ne fossero altri del defunto marito. Pertanto? Pertanto, la palla ritorna al centro: la causa viene restituita ai giudici della Corte d’Appello affinché completino l’esame delle prove e decidano nuovamente, questa volta seguendo le indicazioni della Cassazione. Sarà il quarto grado di giudizio. Non sappiamo ancora come andrà a finire, ma possiamo immaginare che il costo del processo ha grandemente intaccato i soldi in discussione. (Cassazione 4838/21)