Una recente ordinanza (n. 21630/2023) della Corte di cassazione consente di ripercorrere alcuni orientamenti giurisprudenziali in materia di risarcimento del danno da infortunio. In particolare, la questione è relativa alla liquidazione del danno cosiddetto morale, componente del danno non patrimoniale. Tale voce di danno rappresenta, per così dire, la sofferenza che consegue alla vicenda concreta e si distingue concettualmente dal danno biologico, che invece è quello, per così dire, fisico. Entrambi, ad ogni modo, sono ricompresi nella categoria unitaria del danno non patrimoniale.

I giudici, ricorda la Cassazione, davanti alla richiesta di risarcimento del danno, sono chiamati ad un doppio compito. Da un lato, evitare le duplicazioni e non ricorrere ad automatismi risarcitori; dall’altro, dare valore alle peculiarità del caso concreto. Il percorso liquidativo deve garantire e coniugare l’uniformità di base. Questo significa assicurare che vittime della stessa età e con la stessa percentuale di invalidità permanente ottengano lo stesso risarcimento. Al contempo, è fondamentale la valorizzazione del vissuto individuale in vista della realizzazione di una eguaglianza che sia anche sostanziale.

Il danno biologico, la sofferenza e la personalizzazione

Orbene, prosegue il ragionamento, se la vittima chiede il risarcimento del danno biologico, esso include anche una componente volta a risarcire la sofferenza morale. Il pensiero va alle Tabelle di Milano, da anni ormai un parametro di riferimento nazionale per questo tipo di liquidazione. Esse, infatti, prevedono di default una componente di ristoro economico espressamente volto a risarcire la sofferenza patita. Il presupposto, ovviamente, è che a lesioni di determinata entità, consegua un relativo coefficiente di dolore.

Diversa è l’ipotesi in cui la vittima chieda la liquidazione di una conseguenza pregiudizievole differente dal danno biologico. Quando, cioè, siamo fuori dalla semplice sofferenza intrinsecamente legata alle lesioni. In tale caso, la vittima chiede qualcosa in più del semplice danno biologico. Va da sé che tale pregiudizio andrà adeguatamente dimostrato, ricorrendo quindi a prove specifiche. A tale fine, la Cassazione apre alla possibilità di utilizzare il meccanismo della presunzione. Quando, ad esempio, il livello di postumi fisici è elevato, è ragionevole presupporre che alla sofferenza intrinsecamente connessa alle lesioni, possa aggiungersi un pregiudizio ulteriore. Pregiudizio rappresentato dalle specifiche difficoltà incontrate dalla vittima e che, come tale, va risarcito.