Al fine di giustificare una multa per eccesso di velocità, la fotografia non serve. È la Corte di cassazione a ricordare questo principio, con l’ordinanza n. 26511/2023. Si tratta di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. Nel caso concreto, quello che balza all’occhio è il rilevante numero di procedimenti che si sono occupati della vicenda.

Tutto parte, infatti, da quattro multe “in sequenza” emesse dal Prefetto di Padova, per altrettante violazioni. Verosimilmente, l’automobilista in questione ha mantenuto una velocità elevata lungo un tratto di strada particolarmente pattugliato da telecamere. Il malcapitato propone così ricorso al Prefetto, perdendolo, e impugna quindi il tutto davanti al Giudice di pace, che accoglie in parte il ricorso. Segue un appello davanti al Tribunale e, infine, il ricorso in Cassazione.

Il parere della Cassazione

Tutto questo susseguirsi di procedimenti, però, non porta all’esito sperato, visto che, come anticipato, la Cassazione non accoglie le richieste del “pilota”. Alla base delle doglianze, il fatto che nelle contestate sanzioni non ci fosse traccia nemmeno di una fotografia. Manca così, secondo la tesi difensiva, la prova della violazione.

Questa chiave di lettura, secondo i giudici della Suprema Corte, è però sbagliata. La prova della violazione, infatti, risiede nel verbale elevato dall’Autorità. Esso fa infatti piena prova, fino a querela di falso, dei fatti ivi attestati. Verbale alla mano, quindi, è ad esso che si deve guardare per decidere se la violazione sussiste o meno. Chiaramente, l’automobilista potrà difendersi, ad esempio provando un malfunzionamento delle apparecchiature utilizzate. Ma la semplice assenza delle fotografie non è un motivo di per sé solo sufficiente per annullare la multa.