Il tradimento da parte di uno dei coniugi comporta l’obbligo di risarcire il danno sofferto dall’altro a causa dell’infedeltà? È questo l’interrogativo a cui ha risposto la Corte di cassazione (sentenza n. 6598 del 7 marzo 2019), secondo cui, anzitutto, rispetto alla questione “tradimento” vanno distinte, da un lato, le conseguenze inerenti al vincolo matrimoniale (in questo caso, infatti, si era giunti alla separazione) e, dall’altro, quelle relative all’eventuale danno subito dal coniuge tradito, conseguenze che, secondo i Giudici di legittimità, operano su piani distinti.

Per aversi danno risarcibile, dice la Corte, serve la prova che il tradimento abbia effettivamente avuto delle ripercussioni negative sulla persona. In altre parole: dalla prova del tradimento non deriva – automaticamente – un danno risarcibile, a meno che non sia data la prova che dal tradimento è discesa la violazione di diritti costituzionalmente protetti, che si elevi oltre la soglia della tollerabilità e possa essere in tal modo fonte di danno non patrimoniale. A tal fine, possono rilevare il modo in cui è stato commesso e/o reso noto al coniuge il tradimento, se cioè, ad esempio, esso ha comportato per questi una umiliazione pubblica, ovvero abbia ingenerato uno stato depressivo.

In conclusione: il risarcimento del danno da tradimento può essere richiesto, a patto di dimostrare un danno concreto, ulteriore rispetto alla relazione extraconiugale. Diversamente ragionando, laddove cioè al tradimento fosse connesso (oltre alle conseguenze concernenti il matrimonio) l’obbligo automatico di risarcire il danno, si arriverebbe a penalizzare la libertà di autodeterminazione dei singoli coniugi.

(avv. Andrea Martinis)

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